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Ecco chi ha ucciso Tupperware

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Tupperware sta fallendo. Ed è un dramma perché i suoi prodotti fanno parte della storia delle famiglie americane ed europee. Ma è anche una storia che ci parla di come sono cambiate le cose con l’avvento non solo di internet e degli strumenti di comunicazione digitali, ma anche dell’attitudine dei consumatori a privilegiare prodotti a bassissimo costo, usa e getta e più inquinanti rispetto a quelli di qualità fatti per durare.

Cos’è Tupperware

È nata nel 1942, è la creatura di Earl Tupper, figlio di una coppia di immigrati tedeschi che provenivano da Berlino (e che si erano stabiliti a Berlin, nel New Hampishire). Un giovane e geniale inventore che per primo, utilizzando fogli inflessibili di polietilene, uno scarto della raffinazione del petrolio, creò dei contenitori molto leggeri e infrangibili.

L’inventore, che lavorava per la multinazionale DuPont ma si mise in proprio, creò tazze, ciotole, piatti e persino maschere antigas che vennero utilizzate nella Seconda guerra mondiale. Soprattutto, si mise al lavoro per commercializzare con la sua azienda, la Tupperware Plastics Company (fondata nel 1938 e poi ribattezzata Tupperware Brands Corporation), una linea di geniali contenitori per gli alimenti.

L’idea geniale del “Party plan”

Le vendite non andavano bene fino a quando l’azienda non fece ricorso a una campagna marketing straordinaria. Sviluppata dal socio Brownie Wise e dalla coppia Tom e Ann Damigella, Tupperware all’inizio degli anni Cinquanta si ritirò dal commercio nei negozi e cominciò la vendita diretta porta a porta, con una serie di “feste” nelle case che servivano a organizzare le casalinghe attorno a questo prodotto, che non poteva essere trovato altrove.

Era nato il marketing dei cosiddetti “Party plan”, geniale forma di marketing multi-livello e che ebbe una esplosione proprio con Tupperware e poi con pochi altri prodotti (come Bimby, marchio commercializzato in Italia da Vorwerk). In questo approccio i prodotti vengono venduti ospitandoli in quello che viene presentato come un evento sociale in cui i prodotti saranno offerti in vendita.

Si tratta a tutti gli effetti una forma di vendita diretta. Il sistema principale per generare le vendite è la festa in casa stessa: il venditore utilizza il modello di business del “party a casa” come fonte per affari futuri chiedendo ai partecipanti se vorrebbero ospitare anche loro feste di vendita. In questo modo si amplia la catena, si paga una percentuale più bassa di quella dei negozi e non si sostiene alcuna spesa di promozione.

Le altre cause del successo

L’invenzione del “Party plan” è solo una parte del successo di Tupperware. Gli “attrezzi Tupper per la casa” (così si potrebbe tradurre l’espressione) divennero anche i contenitori di qualità superiori a tutto quel che si poteva trovare sul mercato e divennero una specie di “arma segreta” delle casalinghe per sfruttare al meglio la nascita nei primi anni Cinquanta degli elettrodomestici di casa, e in particolare del frigorifero.

Si potevano conservare gli alimenti crudi o già cucinati in comodi contenitori, sufficientemente sigillati e trasparenti, in maniera tale da vedere che cosa contenessero.

Ecco chi ha ucciso Tupperware
Foto da Wikipedia CC BY-SA 4.0

Il fallimento

Dopo decenni di successo e una fama planetaria l’azienda, finora, seppure con una lunga serie di concorrenti, aveva gestito il vantaggio commerciale dato dal nome che definisce una intera categoria. Questo, almeno, sino ad ora.

In difficoltà da anni, Tupperware ha annunciato, mercoledì 18 settembre, di aver avviato una procedura fallimentare. Secondo Laurie Ann Goldman, amministratore delegato dell’azienda, che ha presentato una domanda di protezione ai sensi del capitolo 11, della legge fallimentare degli Stati Uniti, “Da alcuni anni la situazione finanziaria dell’azienda è stata gravemente influenzata da un contesto macroeconomico difficile. Abbiamo esplorato diverse opzioni strategiche e abbiamo ritenuto che sottoporsi alla legge di protezione sui fallimenti fosse il miglior risultato, perché dovrebbe portarci una flessibilità essenziale alla trasformazione digitale e tecnologica della nostra società”.

Il gruppo, che oggi ha sede a Orlando, in Florida, non considera il Chapter 11 il prodromo che porta necessariamente a una chiusura, ma desidera continuare a lavorare durante la procedura e vuole continuare a pagare i suoi dipendenti e fornitori.

Nei documenti depositati presso il tribunale fallimentare del Delaware, Tupperware valuta come patrimonio le sue attività con una cifra compresa fra i 500 milioni e il miliardo di dollari, e le sue passività (capitali e debiti) tra un miliardo e dieci miliardi di dollari. Elenca anche un numero compreso tra i 50 mila e 100 mila creditori. La quotazione dell’azione Tupperware è stata sospesa alla Borsa di New York.

Chi ha ucciso Tupperware

La ragione della procedura fallimentare di amministrazione controllata è da ricondursi a un problema di gestione. Ma in realtà, le cause sono esterne.

Tupperware oggi è appesantita da diverse anni da diverse centinaia di milioni di dollari di debiti e aveva già dovuto ristrutturare una prima volta i suoi impegni finanziari, nel 2020. Il gruppo non pubblica più i suoi conti dal 2022, anno in cui il suo fatturato era sceso a 1,3 miliardi di dollari, ovvero il 42% in meno rispetto a cinque anni prima.

Il fondo dell’abisso

Nel 2017, la società fondata dall’inventore americano Earl Tupper contava ancora più di tre milioni di questi ambasciatori nel mondo. Tupperware è stato indebolito dall’emergere del commercio online, della consegna di pasti a domicilio o in ufficio e soprattutto dai contenitori fatti con la plastica monouso, che hanno messo in discussione il suo modello di business e il suo prodotto.

L’azienda ha cercato di adattarsi sviluppando le sue vendite su Internet e stipulando accordi di distribuzione con le catene di negozi, ma senza riuscire a fermare la sua scivolata. In pratica, un prodotto durevole, ben fatto e con un minor impatto ambientale rispetto a quelli usa e getta (perché i Tupperware durano letteralmente decenni) tra poco potrebbe scomparire a causa della convenienza dell’economia fast-fast, che si basa su prodotti a costo bassissimo di scarsa qualità usa e getta.

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