Quattro giorni di interrogatorio che si potevano evitare con una semplice ricerca su Google: è così che Pavel Durov, fondatore e amministratore delegato di Telegram, apre il suo messaggio – ovviamente attraverso il canale personale sulla medesima piattaforma – con cui cerca di chiarire i fatti di cui abbiamo scritto nei giorni scorsi.
Durov dichiara di essere stato ritenuto responsabile dell’uso illegale di Telegram perché non avrebbe risposto alle autorità francesi. Eppure bastava digitare “Telegram EU address for law enforcement” su un motore di ricerca – scrive – per scoprire che Telegram ha un rappresentante ufficiale in UE che si occupa proprio di questo.
Le critiche di Durov si estendono poi al fatto che si è proceduti subito ad arrestarlo quando entrare in contatto con lui non sarebbe stato poi così difficile visto che, essendo cittadino francese, “frequento spesso il consolato francese a Dubai”.
E se non altro – aggiunge – se un paese non è soddisfatto di un servizio internet di norma “avvia un’azione legale contro di esso: è sbagliato usare una legge dell’era pre-smartphone per accusare un CEO di crimini commessi da terzi sulla piattaforma che gestisce”.
Per altro a suo dire Telegram non solo non avrebbe mai fatto orecchie da mercante, ma in passato ha anche collaborato con le forze dell’ordine creando una linea telefonica diretta con Telegram per aiutare a sventare il terrorismo in Francia, e attualmente sono attive diverse altre linee dirette con diverse ONG per moderare più rapidamente dove serve.
Il punto è che costruire tecnologie come Telegram – spiega – non è uno scherzo e nessuno sano di mente ci proverebbe sapendo di correre rischi per eventuali abusi degli strumenti da lui stesso creati. “Serve il giusto equilibro tra privacy e sicurezza”, e il tutto va “conciliato con le esigenze delle forze dell’ordine, locali e internazionali”, senza dimenticare di considerare anche i limiti delle tecnologie. “Non è facile”.
Cosa succede adesso?
Eppure una soluzione Telegram sembra averla trovata. Nell’annunciare i 10 milioni di utenti Premium paganti (con un abbonamento che costa 33,99 € l’anno in Italia, parliamo circa 340 milioni di euro che ogni mese entrano nelle casse della società) l’azienda ribadisce che la sua priorità rimane quella di “proteggere gli utenti dai regimi autoritari, pur rimanendo aperti al dialogo”.
L’idea è quella di disattivare l’app in quei paesi per i quali non si riesce a trovare un accordo, come era stato fatto in Russia o più di recente in Iran, quando gli fu chiesto di bloccare i canali dei manifestanti pacifici. “Telegram non è perfetto, ma non è neppure il paradiso anarchico che dicono i media”.
In ogni caso le recenti vicende hanno già portato ad alcuni cambiamenti. Tornato in piena attività, Durov infatti annuncia di aver rimosso la funzione “Persone vicine”, più dannosa che utile: a conti fatti – dice – veniva usata soltanto dallo 0,1% degli utenti, e perlopiù veniva abusata da bot e truffatori.
La sua tecnologia però verrà impiegata per sviluppare una funzione simile, “Aziende vicine”, che permetterà di localizzare le attività commerciali verificate: queste potranno perfino mostrare il proprio catalogo all’interno dell’app e offrire l’acquisto dei prodotti tramite pagamenti sicuri.
Sono stati appena disabilitati anche i caricamenti multimediali su Telegraph, la piattaforma di blogging proprietaria, che veniva “abusata da persone anonime”.
Insomma, sebbene il 99,999% degli utenti non ha a che fare con la criminalità – conclude – lo 0,001% coinvolto in attività illecite è responsabile della cattiva immagine dell’intera piattaforma. Un problema questo che mette a rischio gli interessi del quasi miliardo di utenti (950 milioni, al momento) che usano la piattaforma. Ecco che l’impegno appare chiaro: trasformare la moderazione su Telegram “da oggetto di critica a motivo di lode”.
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