Sono passati setti anni da quando Google ha corrisposto l’astronomica cifra di oltre 306 milioni di euro al fisco italiano, ora la storia si ripete: l’Agenzia delle Entrate sta nuovamente bussando alla porta di Big G, ma questa volta la cifra richiesta è ben più alta.
Sulla questione starebbe indagando anche la Procura di Milano. Stando alle investigazioni in corso della Guardia di Finanza di Milano, Google porrebbe in essere una stabile organizzazione immateriale, che farebbe affari in Italia senza pagare le tasse.
La vicenda è simile, nella sostanza, a quella che ha portato Netflix a pagare al Fisco italiano circa 55,8 milioni di euro, mentre non si esclude che molte altre compagnie facciano lo stesso e che, presto, potrebbero entrare nel mirino della GdF.
Il precedente di Google
Come anche spiegato da Il Sole 24 Ore, già nel 2016, le autorità italiane avevano scoperto che Google utilizzava due holding irlandesi e una società olandese per far transitare i pagamenti degli inserzionisti pubblicitari italiani verso le Bermuda, eludendo così il fisco italiano.
Le indagini, allora, avevano rivelato che Google Italy, una Srl milanese controllata da una società nel Delaware, preparava e gestiva contratti per conto delle società irlandesi, creando una “stabile organizzazione” non dichiarata in Italia.
In sintesi, Google utilizzava uno schema fiscale noto come “Double Irish with a Dutch Sandwich” per minimizzare le tasse in diversi paesi, inclusa l’Italia. Tramite le due società irlandesi (Google Ireland e Google Ireland Holdings) e una olandese (Google Netherlands Holdings Bv), i ricavi pubblicitari raccolti da Google Ireland provenienti da vari paesi venivano poi trasferiti, tramite il pagamento di royalties, a Google Ireland Holdings, che li dirottava alle Bermuda, dove non venivano tassati.
Per evitare la ritenuta d’acconto in Irlanda, i ricavi passavano attraverso Google Netherlands Holdings, che trasferiva quasi tutte le royalties alla seconda società irlandese. Questo complesso sistema permetteva a Google di ridurre drasticamente la sua imposizione fiscale. Meccanismi di elusione identici o simili erano impiegati anche in Apple e in un numero sterminato di multinazionali.
Alla fine della fiera, Google aveva quindi accettato di pagare 306,6 milioni di euro per risolvere le contestazioni relative agli anni dal 2009 al 2013. La storia, adesso, sembra ripetersi, anche se al momento non sono noti maggiori dettagli, né se Google questa volta deciderà di addivenire ad un concordato per poter ridurre quanto meno la cifra richiesta.
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