Come abbiamo scritto prima del fine settimana, Adobe ha aggiornato la sua licenza d’uso (i “Terms of Service” o ToS) e ha trasformato i suoi software per la creatività in uno strumento per allenare i propri sistemi di machine learning e intelligenza artificiale: ed è scoppiata la rivolta.
Nonostante l’azienda abbia poi precisato che questa clausola “esiste da anni”, la realtà è che c’è una nuova fase di sviluppo del software che sta travolgendo tutto e tutti.
È provocata dall’intelligenza artificiale, richiede alle aziende (anche ai colossi come Adobe) di fare salti mortali. E tuttavia, molto spesso non tiene conto quasi per nulla il ruolo e il lavoro dei clienti e degli utenti in generale. Quel che sta succedendo adesso è che gli utenti non ci stanno più. È l’inizio di una rivolta?
Il casus belli
In pratica, come abbiamo scritto, Adobe ha aggiunto fra le altre cose una clausola obbligatoria al contratto d’uso (cioè che se non viene accettata blocca la possibilità di accedere a Photoshop e ad altri software della Suite Creative Cloud) che dice che l’azienda può eventualmente accedere in maniera automatica o manuale ai contenuti degli utenti e utilizzarli per addestrare il proprio “machine learning”.
Uno dei tanti che riassume in maniera chiara il problema in cui si è cacciata Adobe è un utente di X, Sam Santala:
Quindi, se capisco bene. Adobe, non posso usare Photoshop a meno di non essere d’accordo nel darvi accesso completo a tutto quello che ci ho creato incluso il lavoro coperto da accordo di riservatezza??
Ma un altro è un regista piuttosto noto, Duncan Jones (Moon, Source Code, Warcraft) nonché uno dei figli di David Bowie, che scrive in maniera molto più critica:
Ehi, photoshop, cos’era quel nuovo accordo che ci hai costretto a firmare stamattina e che blocca la nostra applicazione finché non lo accettiamo?
Stiamo lavorando a un dannato film e NO, non avete improvvisamente il diritto di usare tutto il lavoro che stiamo facendo perché vi paghiamo per farlo.
Cosa succede adesso
La polemica tocca Adobe, che è una storica azienda di software per la creatività vecchia di più di quattro decenni ed estremamente vitale in questa fase di grande cambiamento tecnologico dovuto all’intelligenza artificiale.
Adobe è stata infatti una delle principali aziende di software legacy ad abbracciare l’AI generativa e a renderla accessibile agli utenti attraverso il modello proprietario (e sicuro per le aziende) di generazione di immagini Firefly AI, il “Riempimento generativo” (cioè la capacità di costruire pezzi di immagine non ricavabili da altro se non dal lavoro della AI) e altre funzioni di intelligenza artificiale generativa in Photoshop e, negli scorsi giorni, un assistente AI per il software di customer experience, oltre a molto altro.
La rivolta in rete
Questa mossa di Adobe non è passata inosservata. E mano mano che il pop-up della Creative Suite Cloud fa capolino sui Mac e sui PC degli utenti che avviano uno dei software dell’azienda di San Jose, c’è chi semplicemente clicca “ok” e chi invece va a vedere le scritte in piccolo.
Scoprendo così la sorpresa: in effetti adesso l’accesso ai dati diventa irrevocabile. E questo, per quanto apparentemente legale (altrimenti la modifica probabilmente non avrebbe passato il vaglio degli avvocati interni di Adobe) non va bene sia secondo alcune normative (probabilmente come quella europea regolata dal GDPR) che secondo alcuni giuristi che si occupano di temi di privacy.
È il caso di Heather Burns, giurista e autrice di libri sulla privacy, che scrive sempre su X:
Lo dico a metà tra il serio e il faceto: a un certo punto sarà meglio utilizzare un laptop di 15 anni fa con un software di 15 anni fa, non connesso a Internet, non aggiornato e che non faccia la spia a 1200 partner pubblicitari tramite interessi legittimi mentre scansiona i vostri contenuti con l’intelligenza artificiale.
Una posizione estremamente interessante che in effetti potrebbe avere senso, man mano che andiamo avanti con la tecnologia. Tanto è vero che c’è chi ha creato un sito dove sono indicate, software per software, tutte le possibili alternative ai software della creative suite di Adobe.
Il dilemma esistenziale di Adobe
Come questi casi citati, decine e decine di centinaia di altri creativi liberi professionisti, di società e di studi professionali che si occupano di utilizzare gli strumenti della creatività di Adobe (e di altre aziende) per le loro attività quotidiane si stanno imbufalendo. E con una certa ragione, verrebbe da dire.
Tuttavia, il tema non è limitato e limitabile alla sola Adobe. La quale, alla fine, si sta comportando in maniera razionale e tutela cioè i propri interessi. Vista la corsa all’intelligenza artificiale, che vuol dire alla creazione di sistemi che funzionino sempre meglio tramite addestramento, si sta procurando i dati necessari alla costruzione delle sue intelligenze artificiali per poter sopravvivere.
Basta un attimo infatti perché arrivi un nuovo produttore di software che, senza alcun investimento in tutte le tecnologie software, gli algoritmi tradizionali e l’interfaccia utente, nei quali Adobe eccelle da decenni, crei una app completamente basata sull’intelligenza artificiale che faccia quanto se non di più viene fatto dalla suite per la creatività di Adobe. E lo faccia più velocemente, meglio e anche per persone che non la sanno usare, non la vogliono usare o non sanno neanche che esista.
Il tappo del porto di Genova
Questo è in buona sostanza il grande problema: come fare a sopravvivere a una discontinuità tecnologica? È un problema enorme anche perché, a prescindere che sia vero o no che l’intelligenza artificiale possa completamente rivoluzionare sia questo tipo di applicativi che le professioni di chi li usa per creare e guadagnare abbastanza da viverci.
Il problema che Adobe affronta è questo ma lo fa a scapito di un altro problema, ancora più grande: di chi sono i dati sui quali vengono addestrate le AI, quale forma di guadagno dovrebbero avere coloro i quali forniscono la materia prima indispensabile per creare qualcosa. E ancora, come tutelare la privacy di queste persone e del loro lavoro, come fare opt-out (o meglio, opt-in per chi volesse farlo) e tutta quella lunga polemica che da più di un anno sta montando relativamente al tema dei dati.
L’intelligenza artificiale pone problemi diversi a soggetti diversi (le aziende, i creativi, il pubblico, i regolatori) ma alla fine ha una caratteristica che la accomuna: pur non sapendo quanto effettivamente riuscirà a fare (perché la maggior parte delle funzioni o non funzionano come ci si può aspettare o sono ancora una promessa da mantenere, soprattutto nel campo della GenAI e dei ChatBot in particolare), è già riuscita a incidere sulla realtà economica ed organizzativa di tutti i big del software.
Gli utenti di Photoshop e degli altri software della Creative Suite? Sono loro che in questo momento si sentono come “danni collaterali” in un conflitto che apparentemente non li sta prendendo in considerazione. Le proteste che montano in rete però presto potrebbero portare a qualcosa. Anche se è presto per dirlo.
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