Permetteteci una breve premessa. Siamo convinti come tutti che l’intelligenza artificiale sia la grande rivoluzione di questa attuale onda dell’innovazione tecnologica. L’ennesima onda dell’innovazione tecnologica che procede a strappi dagli anni Sessanta dello scorso secolo. Il problema con la GenAI, l’intelligenza artificiale generativa (la punta della rivoluzione) è che ancora non abbiamo capito cosa farci. Nel senso: non ci sono le killer application reali.
ChatGPT e le altre sono fantastiche implementazioni di un qualcosa che ancora non sappiamo a cosa serve realmente. Ci sono pochissimi modelli di base (i cosiddetti foundational model) e tantissime, fin troppe startup che creano singoli chatbot che fanno singole cose. E tutti spendono una valangata di soldi per addestrare, usare e raffinare le GenAI, ma ancora nessuno sta producendo quei guadagni che derivano dal semplice fatto di aver sbloccato un nuovo modo di produrre valore.
Certo, come in tutte le corse all’oro (perché anche quella della GenAI alla fine è una corsa all’oro) i primi e talvolta gli unici a fare i soldi sono quelli che vendono carriole e picconi. Fuor di metafora, Nvidia, che infatti è esplosa diventando una delle più grandi aziende al mondo. Mentre Intel ha ricevuto quello che forse potrebbe essere il colpo mortale (anche se in un corpo così grande la fine potrebbe arrivare molto dopo la ferita).
Tuttavia, al di là di tutto il resto, la domanda rimane: quali sono i reali casi d’uso della GenAI? A cosa servono ChatGPT e i suoi fratelli?
Il grande chiasmo
C’è sicuramente una crescente spaccatura tra l’opinione che si è formata all’interno delle aziende di GenAI e della Silicon Valley in generale (quello che i sondaggisti chiamano il “sentiment”), secondo cui l’AI generativa è tutto. E dall’altro lato l’opinione che si sta formando all’esterno, secondo cui questa roba è certamente molto importante, ma non è necessariamente molto utile, ancora, al di fuori di un insieme abbastanza ristretto di usi, e c’è bisogno di molto più lavoro per arrivare ai prodotti.
Per dire: circa la metà delle persone che hanno provato ChatGPT non l’ha più usato. Questo non significa affatto che tutto questo sia inutile o una truffa (queste opinioni sono un buon modo per individuare gli idioti), ma significa che, come sempre, il futuro richiederà un po’ di tempo. Stiamo sopravvalutando gli effetti a breve termine e quasi sicuramente sottovalutando quelli a lungo termine.
Il vero problema, che alcuni si stanno cominciando a chiedere, è che abbiamo ChatGPT da 18 mesi, ma a cosa serve? Quali sono i casi d’uso? Perché non è utile per tutti, in questo momento?
Possiamo immaginare, basandoci anche su quanto ci dicono alcuni imprenditori del settore, che i modelli linguistici di grandi dimensioni saranno strumenti universali in grado di svolgere “qualsiasi” attività. Oppure dobbiamo ascoltare altri imprenditori dello stesso settore che stanno lavorando per impacchettarli in app monofunzionali e costruire migliaia di nuove aziende intorno a questo modello di business? Un po’ come il mondo del software, che ha decine e decine di sotto-settori diversi con app che fanno bene solo una cosa (salvo poi trasformarsi in gigantesche app che fanno male molte cose).
Chi lo sa?
Un mondo di mezzi successi
Nelle scorse settimane e mesi le grandi aziende, come Meta e Microsoft soprattutto, ma anche Google per quanto riguarda Android, hanno lavorato per inserire ChatGPT e le altre funzionalità di intelligenza artificiale dentro qualsiasi sistema potessero raggiungere. Con risultati che definire deludenti è quasi una sottostima del problema.
Demo fantasmagoriche con funzionalità che in realtà non ci sono o non funzionano proprio così. Migliaia di funzioni aggiunte quasi a caso ai sistemi operativi e applicativi per vedere di fare cose che non si riescono a fare o non serve fare. E non stiamo esagerando o parlando di piccole aziende che forse sono fatte da truffatori che promettono un vaporware hardware o software, incassano gli anticipi e poi scappano. No, qui stiamo parlando delle integrazioni dentro Facebook, Whatsapp e Instagram, dentro Windows e dentro Android. Stiamo parlando di una rivoluzione che dovrebbe essere partita ma ancora, consentiteci di dire, è decisamente ferma al palo.
Non parliamo poi delle aziende alle quali, nel settore B2B, vengono offerti modi per “parlare con i dati” e “automatizzare interi uffici” e dare assistenti AI “a tutti i dipendenti” per sbloccare la loro produttività, creatività e fantasia, “lasciando i lavoro più triviali alla macchina”. Lo avete visto? È successo?
Avete cominciato a usare i vari GenAI come motori di ricerca, autori, creatori di immagini e via dicendo in maniera strutturale, seria e professionale? Oppure sembra di essere più a spasso tra le sperimentazioni e improvvisazioni, come i primi eroi dell’informatica personale che si programmavano in Basic un gestionale per stampare e spedire le fatture con il Commodore 64 a una lista di 99 clienti (non 100 perché forse finiva la memoria).
Certo, si stanno facendo cose interessanti e divertenti e pionieristiche e certamente anche tra voi lettori ci saranno legioni di smanettoni che stanno facendo cose fantastiche con ChatGPT (ma quanti lo pagano? e quanti lo usano ancora dopo averlo provato un po’ di volte?). Dubitiamo tuttavia che sia stata licenziata in blocco tutta la segreteria per sostituirla con la GenAI di turno, che siano stati mandati a casa i creativi delle agenzie, i produttori di contenuti dei social media, le persone in ufficio che lavorano nella predisposizione delle relazioni, delle analisi, dei dossier e delle pratiche.
Mancano i prodotti fatti e finiti e i casi d’uso “rotondi”. Manca qualcuno che inventi un Word, un Excel o un PowerPoint delle AI. Con questo intendo non i prodotti di Microsoft di per sé, che oltretutto sono derivati da altri prodotti presenti prima di loro sul mercato negli anni Settanta, quanto dei veri “prodotti” fatti e finiti, chiari, che servono a fare delle cose in maniera diversa da prima (macchina per scrivere, lavagna e gessetti, lucidi e proiettore con lastra luminosa) e migliore.
Queste cose ci sono? A nostro avviso no. Però le cose potrebbero iniziare a cambiare molto presto. Prestissimo.
Copiare dal compagno di banco
La nostra idea infatti è che settimana prossima Apple mostrerà delle soluzioni innovative basate sull’utilizzo della tecnologia a disposizione di tutti (i rumors dicono OpenAI, ma vedremo) per cambiare quanto già c’è (Siri ad esempio) potenziare altro (tutte le funzioni di machine learning dei suoi sistemi operativi) e creare nuove funzioni e nuovi casi d’uso.
Perché il problema è certamente l’affidabilità della GenAI (cioè il fatto che dica cose giuste) e la sua sicurezza e governance (nel rispetto del copyright per i dati usati ad esempio). Ma servono anche gli esempi di casi d’uso che abbiano senso e che funzionino. Non una dirigente d’azienda con due tecnici che si mette a parlare con un sistema per chiedergli di risolvergli una equazione sul foglio di carta o per sentire la macchina che dice di arrossire quando le viene detto che è sul palco per una demo.
No, serve vedere un vero smartphone che fa cose con l’AI che servono al resto di noi. Che le con un computer, che le fa con uno smart speaker, che le fa con una Tv, che le fa con un tablet, con uno smart watch. Insomma, serve vedere Apple che fa Apple: mostra come elementi noti del puzzle tecnologico possano finalmente essere messi nell’ordine giusto per creare una magia alla quale nessuno aveva in realtà mai pensato prima.
Fatto quello, ci penseranno gli altri a copiare e fare tutto il resto, per carità. Quindi possiamo dirlo fin da adesso: concorrenti preparate le fotocopiatrici, perché Apple sta per farlo di nuovo. Forse.
Speriamo.