La sorpresa, per il cronista, è sempre dietro l’angolo. E, consentiteci di dirlo, deve essere così altrimenti si cade nel disincanto, anticamera del cinismo. La sorpresa questa volta è dovuta a un invito ricevuto da Apple per una presentazione nel suo store di Piazza del Liberty a Milano. Tema: uno spot trasmesso trasmesso a patire dalla Giornata mondiale della Sindrome di Down che si tiene annualmente il 21 marzo.
Intendiamoci: la sorpresa non era l’invito (questa è routine nei rapporti tra le redazioni giornalistiche e le varie aziende che organizzano conferenze stampa, incontri, presentazioni) quanto il tema. Lo spot è infatti di rilevanza mondiale, fa parte di campagne che hanno una visibilità persino all’Onu, ma è tutto, completamente “made in Italy” (o quasi, come vedremo tra un attimo).
I protagonisti a Milano
Sul palco a Milano c’erano due persone: Martina Fuga, presidente dell’associazione non profit CoorDown, e Karim Bartoletti, partner di Indiana Production Company, una società di produzione video anche (ma non solo) per gli spot nel settore della pubblicità. Ma c’era anche il video registrato degli interventi di Luca Lorenzini e Luca Pannese dell’agenzia “Small” di New York.
Sul palco c’era la nuova campagna, ma anche il ricordo di quelle che ogni anno vengono fatte da CoorDown. Una diversa dall’altra, cambiando registro e cambiando declinazione, ma mantenendo ovviamente il tema e soprattutto la semplicità e direzione: un colpo al cuore degli spettatori ma anche alla loro testa, per far capire che la sindrome di Down non cancella le persone dalla vita.
CoorDown
Martina Fuga è nata a Venezia ed è milanese di adozione: si occupa di comunicazione e di diversità, equità e inclusione. Il suo impegno personale in CoorDown, di cui è presidente, nasce dalla storia della sua famiglia: ha tre figli, una è nata con la sindrome di Down, e da 19 anni Fuga è attiva in diverse organizzazioni che promuovono i diritti delle persone con sindrome di Down e disabilità intellettiva.
Fuga ha coordinato la realizzazione delle pluripremiate campagne di comunicazione di CoorDown, realizzate in occasione della Giornata Mondiale della sindrome di Down sotto la direzione creativa di Luca Lorenzini e Luca Pannese e in partnership con diverse organizzazioni internazionali. Nel tempo infatti CoorDown ha fatto da centro di gravità e ha attratto e fatto arrivare decine di associazioni di tutto il mondo. La massa critica, senza personalismi e senza duplicazioni inutili.
Indiana Production
Le campagne si fanno con la creatività ma poi devono essere messe “a terra”. Ci vuole una produzione, che è la parte centrale, che sta tra la parte creativa (brief, insight della campagna, idea e sviluppo) e il pubblico che la vedrà. Indiana ha questo ruolo che, come ha spiegato Bartoletti, si rinnova ogni anno. Perché le campagne non profit non hanno budget o ce l’hanno minimo. Sono investimenti che si fanno con il cuore, non con il portafoglio. E che vengono sempre proposte come una possibilità, non un obbligo.
Però sono anche campagne e spot che si fanno sul serio, con vincoli (ad esempio, la messa in onda in tempo per la giornata mondiale del 21 marzo di ogni anno) e professionalità. È una scoperta oltretutto di come fare comunicazione in un modo che richiede moltissima energia e fiducia nel messaggio a cui si sta dando forma.
Small
Al cuore di ogni campagna pubblicitaria c’è la creatività. Che si vede anche dai dettagli: il sito web di Small, per esempio, che dice chiaramente tutto in una frase brevissima: “We’re a creative agency. Not a big one”. Fondata da due italiani, i “due luchi”, come li chiama Fuga, Small fa pubblicità ad altissimi livelli: Diesel, Esselunga, Amazon Prime Video, Uber, Loro Piana e via dicendo. Il portafoglio clienti dei due luchi è impressionante.
Però al centro c’è CoorDown. Non perché è una charity (ed è una charity) ma perché è anche e soprattutto un cliente. Un vero cliente. Al quale fare con il massimo della professionalità e della bravura una campagna vera. Ed è lì che si vede la professionalità: dare il massimo a prescindere dal budget, o meglio, a prescindere dal fatto che ci sia un budget. Non è per i soldi che si lavora, e in questo caso non è neanche in discussione che ci siano soldi, ma è un lavoro vero, importante, anzi fondamentale.
Lo scopo di tutto
Perché la creatività e poi la produzione di queste campagne, che certamente danno anche una buona immagine a chi le fa, ha in realtà un obiettivo. Alzare il livello di consapevolezza. Mettere nel radar delle persone e delle istutizioni che esistono le persone con la sindrome Down e che il soggetto della loro identità è la prima parte della frase, “persone”, mentre un attributo tra gli altri, come il colore dei capelli o le preferenze a tavola, sia la parte della “sindrome Down“.
Sappiamo che è la società che le limita, definendole, le identità delle persone. Le campagne, e il lavoro dell’associazione, vanno invece nella direzione di far sì che siano innanzitutto e soprattutto persone, con diritti e doveri, possibilità di accedere e fare cose. Come tutti, insomma, perché questo sono: come tutti.
I due luchi dicono che l’idea di una campagna debba poter essere espressa in dodici parole. O comunque in una frase molto breve. Ed è un’ottima idea, una regola di vita per arrivare all’essenza delle cose. Un principio estremamente saggio e una regola capace di cambiare il modo con cui si pensa. Vogliamo immaginare che anche questo ci sia dietro alla potenza dell’idea di ogni campagna. Potete vederne qui una raccolta.