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Huawei, il chip che non doveva produrre e le sanzioni Usa senza effetto

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Sta suscitando un certo clamore la presentazione di uno smartphone della cinese Huawei. La stampa internazionale se ne sta occupando perché dietro c’è una specie di mistero, o per meglio dire la presa d’atto che l’impalcatura briglie e legacci composta da sanzioni ed embarghi tecnologici della Cina forse non sta tenendo è più.

Il chip che non doveva esserci

Il fatto di cronaca che ha scatenato questa ridda di consultazioni e valutazioni è semplice da spiegare: il Mate 60 Pro, telefono la cui CPU (per meglio dire: il suo SoC) è il Kirin 9000, prodotto da SMIC, Semiconductor Manufacturing International Corp, azienda che, nonostante il nome altisonante, in realtà è una impresa cinese controllata da Pechino. Una azienda “a partecipazione statale”, come accade anche da noi, peraltro, se non fosse che i legami con l’esercito e il partito comunista impongono una serie di vincoli e obblighi all’azienda, tanto da farla assomigliare notevolmente a una specie di “braccio armato” del governo.

Huawei, il chip che non doveva produrre e le sanzioni Usa senza effetto

Ma cosa c’è di tanto particolare nel Mate 60 Pro, telefono che peraltro è possibile comprare anche da noi? Semplice: il SoC Kirin 9000 ha una lavorazione a 7 nanometri, un notevole salto in avanti rispetto al precedente tipo di lavorazione a 14 nanometri, che lo mette nella stessa classifica con i migliori SoC prodotti negli Usa, come i chip della vecchia generazione di Apple Silicon (oggi a 5 nanometri) e quelli di Qualcomm.

Tuttavia, quella lavorazione non dovrebbe essere possibile perché la Cina non dovrebbe possedere le strumentazioni necessarie per fare quel tipo di chip, per via dei blocchi imposti dagli Usa durante la presidenza Trump, a partire dal 2019.

Huawei, il chip che non doveva produrre e le sanzioni Usa senza effetto

Superare la crisi

Si può veramente dire che la creatività dà il meglio quando viene compressa: la Cina avrebbe utilizzato le tecnologie con meno aggressività produttiva se non ci fossero state tante limitazioni, e si sarebbe limitata a comprare i macchinari. Invece, ha dovuto inventare un modo per mettere le mani per le macchine che fanno la litografia ultravioletta di un tipo molto particolare. Talmente raffinato ed estremo che ne esistono pochissime al mondo, prodotte quasi tutte da ASML, un’unica azienda olandese, spin-off della vecchia divisione semiconduttori di Philips e oggi regina indiscussa in questo settore molto particolare.

La Cina sarebbe riuscita cioè a mettere le mani su macchinari EUV che permettono di creare la matrice che contiene le tracce dei transistor su scala da 7 nanometri che poi vengono “stampati” con una tecnica litografica estrema (la “E” di EUV) basata sull’emissione di luce ultravioletta attraverso la maschera verso il wafer di silicio. È una manovra estremamente complessa che richiede una precisione quasi sovrumana, considerando che la messa a fuoco per effettuare l’incisione di elementi grandi 7 nanometri può essere compromessa da qualsiasi fattore esterno: la miscela che compone l’aria nella stanza, la sua temperatura e la sua densità, micromovimenti tellurici o ambientali, e via dicendo.

Tutto ritenuto insuperabile dagli esperti di tecnologia americana, che avevano assicurato che la Cina non avrebbe più potuto agganciare i concorrenti internazionali (cioè statunitensi e poi taiwanesi) ma così non è stato. Il gap c’è sempre ma è stato ridotto notevolmente e verrà ridotto ancora grazie a una ulteriore iniezione di denaro nel settore: l’equivalente di 40 miliardi di dollari, annunciato da Pechino nei giorni scorsi.

La domanda vera rimane però: come ha fatto la Cina ha produrre il chip Kirin 9000? La risposta è al tempo stesso semplice e complessa.

 

Teleologia delle sanzioni

La cosa qui si fa davvero complicata da spiegare. Occorre una premessa: perché gli Usa hanno bloccato in maniera tanto aggressiva la Cina? Semplice. Perché quest’ultima aveva iniziato una fase di espansione economica enorme in settori “non suoi”, secondo gli americani. Ovvero, i semiconduttori.

Dal 2001, anno in cui la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio e ha quindi iniziato a comportarsi da “paese civile”, scambiando beni e merci con tutto il resto del mondo, la politica di Washington nei confronti di Pechino ha due volti. Da un lato la Cina è “la fabbrica del mondo”, il posto dove esternalizzare la produzione perché costa meno fare una cosa in Cina che negli Usa o in Europa. Dall’altro è diventata un concorrente non solo economico (la Cina ha comprato buona parte del debito pubblico statunitense e delle riserve mondiali in oro) ma anche tecnologico.

La tecnologia pone tre livelli di problemi: impatta sui big del settore (Intel e Qualcomm, che infatti sono in crisi anche se in maniera diversa), impatta sulla ricchezza della nazione (perché chi domina la tecnologia produce gli strumenti più importanti e potenti del nostro tempo, cioè i computer che generano ricchezza) e infine impatta sulla sicurezza nazionale (perché chi produce e vende la tecnologia ci può mettere dentro quel che vuole, e spiare tutti gli altri).

Ora, su tutti e tre i piani gli Usa erano abituati a fare come volevano: le più grandi aziende produttrici di tecnologia digitale al mondo sono nella Silicon Valley e dintorni, la più grande produzione di ricchezza collegata a questo settore, e la più grande garanzia di sicurezza perché se ci sono backdoor nei chip dei computer, sono messe dai produttori americani che rispondono agli ordini di Washington.

Il passaggio in mano alla Cina del testimone tech portava e porta con sé la spiacevolissima conseguenza che nessuna di queste tre cose sarebbe stata più vera. E, per farla breve, attaccandosi all’ultimo dei tre livelli, cioè quello della sicurezza nazionale, i governanti americani hanno fatto presto a imporre uno dei più grandi embarghi che la storia mondiale ricordi. Superiore anche a quello trentennale che colpisce l’Iran (paese nella lista degli stati canaglia ma pur sempre paese con quasi novanta milioni di abitanti). Superiore a quella tattica che colpisce la Russia che invade l’Ucraina.

Adesso, la “botta” che gli americani hanno tirato alla Cina e che ha messo fuori gioco alcuni dei più grandi attori del settore dell’elettronica, ha avuto conseguenze semplici. Huawei non fa solo telefonini (anche se non ci sono più grandi produttori negli Usa) ma anche apparati di rete per la telefonia 5G, cioè le antenne e i router, tra le altre cose, che sono stati altrettanto bloccati per proteggere gli interessi di Cisco e di altri produttori di impianti di rete.

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La pace americana

Il dividendo della Pax Americana, come la chiamano i politologi, è una specie di calma planetaria che, al di là di piccoli conflitti locali, vede le popolazioni del pianeta sostanzialmente crescere e migliorare. E questo è vero sicuramente: tutti gli indicatori mostrano che il globo è ogni anno un posto migliore. Meno malattie, meno malnutrizione, meno analfabetismo. Tuttavia, i conflitti sia sociali che economici si stanno moltiplicando lo stesso.

Le trasformazioni industriali e post-industriali hanno colto di sorpresa milioni di persone nei paesi “ricchi” rendendole povere, hanno trasformato e inquinato il mondo, con una società globale che ha un impatto negativo sulla sostenibilità della vita sulla Terra. Insomma, gli ultimi anni sono andati avanti in maniera decisamente complicata. Più complicata di quanto ci si aspettasse.

Su tutto questo, è emersa la Cina, il vero e unico grande dominatore economico del pianeta. Il cosiddetto “Impero di mezzo” (il nome letterale della Cina) è sempre stato il paese più potente della storia, comparativamente se non altro perché in epoche in cui le varie parti del mondo non si parlavano questo non spiccava. Comunque, lo è sempre stato tranne che negli ultimi due secoli e mezzo. Una parentesi in una storia trimillenaria. Una parentesi che però dà l’illusione ai nuovi arrivati, i “giovani americani” (dal punto di vista storico) di aver creato un nuovo ordine che è destinato a non cambiare mai, e pienamente giustificato dall’eccezionalità della nazione e del suo destino.

A prescindere da quel che si vuole vedere in queste opposizioni storiche e ideologiche, la tecnologia digitale, il computer, è una leva fenomenale. Talmente fenomenale che oggi lo scontro ha portato gli Usa a murare viva la Cina dal punto di vista dell’innovazione. Oppure no.

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L’embargo che non può essere tale

Se vivessimo in un mondo in cui basta un frate pellegrino che torna nascondendo i bachi da seta nell’elsa del suo bastone da cammino per rivoluzionare un’industria e quindi un mondi, si potrebbe trovare una spiegazione gustosamente letteraria a quello che ha fatto Huawei. Ma in realtà le cose non sono andate così.

L’azienda cinese ha dalla sua l’appoggio di Pechino; ha dalla sua il mondo globalizzato che consente di far circolare idee persone e cose molto meglio e molti di più di quanto non si creda; ha dalla sua le centinaia di migliaia di giovani cinesi che studiano e lavorano negli Usa, eccellono e poi tornano indietro a lavorare per le aziende cinesi; ha dalla sua la capacità di far arrivare le tecnologie che mancano con qualche triangolazione di un mondo globale dalla logistica sempre più esasperata e capillare, che permette qualsiasi cosa.

Il futuro è un’incognita

Il pugno di silicio e gli strumenti per la produzione estrema di litografie però sono solo un aspetto della cosa. C’è anche la Cina che festeggia con accenti patriottici e nazionalisti il successo del “grande e indomabile spirito cinese”. C’è anche la dimostrazione che forse la Cina non saprà come fare a produrre nel breve periodo decine o centinaia di milioni di SoC Kirin 9000, ma sicuramente ha dimostrato di essersi smarcata dal giogo americano e dei suoi embarghi.

Una parte dell’opinione pubblica occidentale, quella più “collaborazionista” con il regime di Pechino, ha subito il fascino della Cina. Quest’ultima infatti ha imparato a far sua la strategia della moral suasion e a oliare gli ingranaggi giusti della politica internazionale ad esempio per creare una “via della seta” commerciale e tante altre iniziative che servono a darle centralità economica.

Il rischio è che i suoi macchinari venduti a costi molto più bassi di quelli Usa servano anche a spiare amici e nemici? Certo, anche se non ci sono le prove. Come non ci sono le prove che gli Usa lo facciano, a parte quello che abbiamo appreso dalle rivelazioni di Edward Snowden sul programma di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico. Ma questo è un altro discorso che va più in là di un semplice SoC per telefonini.

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