Il Garante per la privacy ha preso la sua decisione qualche giorno fa e bloccato ChatGPT. Se non fosse che è una istituzione che lavora seguendo la legge e in maniera pragmatica, verrebbe da dire che è stata più un’azione dimostrativa che non un provvedimento effettivamente pensato per raggiungere lo scopo che si prefissa. Bloccare ChatGPT è un po’ come chiudere il cancello dell’innovazione di un campo senza mura o recinzioni. Tutto quel che deve passare, continua a passare.
Il tema di fondo, che l’Europa ha scelto da tempo come sua battaglia per trovare una voce unica tra Cina e Usa, è quello dei diritti. A cinque anni dall’entrata in vigore del Gdpr, la norma che stabilisce le regole per il trattamento dei dati personali, quei principi non sembrano essere stati ancora interiorizzati dalle aziende. Dovrebbero “toccare” tutto il mondo, e quindi essere ben conosciuti. Eppure non lo fanno.
Il bisogno di nuove regole
Sicuramente c’è chi si chiede cosa stia facendo l’Europa su questo argomento. Non solo il nostro Garante, ma anche ai piani più alti. Perché da un lato ci sono gli Usa, visti come faro dell’innovazione, e noi che seguiamo quasi in punta di piedi. In realtà le cose non stanno così e le dinamiche sono molto più sfumate.
La semplificazione che vede la Silicon Valley come unico caposaldo dell’innovazione tecnologica è sostanzialmente viziata di ideologia, e infatti viene portata avanti da chi con quel caposaldo in realtà vuole fare business o quantomeno applicarne le regole anche qui. Alle volte per esterofilia, altre per semplice indottrinamento (ah, se potessimo avere un euro per ogni articolo, libro, film e telefilm che magnifica le neanche troppo progressive sorti delle tecnologia californiana). Altre ancora per banale malafede: cittadini europei che giocano la partita di un altro Stato, di un altro sistema economico e di valori, addirittura di un’altra valuta e finanza.
L’Europa c’è e investe nella AI. Non lo fa dal punto di vista hardware (se non in ambiti marginali) perché non è l’Europa che progetta e costruisce chip se non marginalmente. O computer, se è per questo. Ma lo fa dal punto di vista della ricerca, dell’economia, degli investimenti delle aziende, dello sviluppo dei software e delle tecnologie. Ma allora perché, se la UE mette un miliardo all’anno e ci sono decine di altri miliardi di euro disponibili, il tema della AI viene percepito come alieno?
Sono tutte PR
La macchina per portare avanti una visione del mercato è basata su soft power che a sua volta è basata sul bisogno di identificare una serie di valori chiave. E questi sono una visione lontana dall’idea di welfare caratteristica dell’Europa continentale (non a caso il Regno Unito alla fine è uscito con la Brexit) e che cozzano frontalmente con quello del neoliberismo statunitense.
Che si pensi all’uno o all’altro come giusto è irrilevante, ma è corretto perlomeno dal punto di vista intellettuale non giocare con l’altra divisa senza accorgersene: l’Europa ha un’idea di economia, di società, di commercio, di sviluppo che è sempre più alternativa a quella statunitense. Alleati, vicini, amici, ma diversi. Un discorso è andare a cena con una coppia di amici, un altro dormirci insieme.
L’immagine di uno sviluppo centrato sull’innovazione e una forma di capitalismo che travalica qualsiasi tipo di libertà individuale e di ricerca della pace e dell’equilibrio sociale è evidentemente una proiezione fatta a scopo di relazioni pubbliche, di PR. Serve a far passare altro, ovvero quel che una volta si diceva che era facile trovare seguendo i soldi: degli interessi economici.
L’era dei diritti
Nel sistema statunitense la regolazione dei diritti della persone e altre modalità di comprensione di come funziona la società sono diverse dalla nostra. In Europa si segue un approccio più solidaristico e proprio delle socialdemocrazie, del welfare e non della concorrenza senza Stato ma solo con (poche) regole.
All’interno di questo l’Unione europea sta tracciando ormai da un decennio un progetto lungo e complesso, forse anche troppo, ma comunque orientato alla creazione di una rete di valori e di regole condivise e gestite a livello nazionale e poi ancora più vicino ai cittadini, con il principio di sussidiarietà, che permettano di vivere un’altra idea, un altro sogno di futuro. Uno in cui la persona conti e conti anche la sua reputazione.
In questo mondo ci sono progetti che, oltre al GDPR, stanno mettendo giù idee e pensieri: i progetti Horizon e Digital Europe, la Digital Decade, tutte le riflessioni e i piani che cercano di integrare il lato ambientale con l’integrazione sociale, l’equità negli scambi interni e nel rispetto della dignità delle persone.
L’Europa da cui sono fuggiti i pellegrini per creare un mondo nuovo senza le monarchie e i legami e legacci medioevali non c’è più. L’Europa non è più quella delle guerre di religione e dell’immobilismo sociale. Piace pensare che sia una unione di stati che si stanno lentamente (forse troppo lentamente) avvicinando, e che stanno costruendo assieme le regole per convivere sotto lo stesso tetto.
Le guerre che si sono spostate fuori dai confini dell’Unione sono un esempio. La violenza degli attacchi a un modo di vivere e pensare europeo (anche da parte di ex paesi membri) sono una dimostrazione che questa idea di futuro disturba altri.
In conclusione
Le regole vengono scritte dai rappresentanti dei cittadini europei, vengono scritte dai filosofi, dai poeti, dai ricercatori, dai comitati, dai votanti ai referendum, da chi partecipa ai sondaggi, dalle categorie sociali ed economiche che si presentano a Bruxelles in buona e cattiva fede, dai parlamenti e dai governi dei singoli stati.
Lo sappiamo, è un progetto complesso, è un processo complicato. Inefficiente. A tratti involuto e forse non funziona come potrebbe o come dovrebbe. Però è questo il processo partecipato che sta disegnando anche le regole per le AI. Questo il processo europeo che, unico sul pianeta, sta lavorando a delle idee per contenere la tecnologia e salvaguardare la dignità delle persone.
Dove trovate questo tipo di percorso e di volontà? Nella Silicon Valley? A Pechino? Tra Mosca e Dubai? No, la strada che stiamo percorrendo qui in Europa è complessa, strana ma tutta nostra. Ed è un percorso iniziato, vale la pena ricordarlo, dopo due guerre mondiali e secoli di orrori sia locali che esportati in tutto il mondo con il colonialismo e la schiavitù.
Colpe storiche a cui l’Europa sta cercando di rispondere in questo periodo con un’idea di futuro diverso, che passa dalle regole che proteggono le persone. Non è perfetta, ma non se ne vedono altre all’orizzonte. Di certo non migliori, ma neanche simili.