Una delle cose più interessanti della digitalizzazione è che consente di ripensare le categorie e reimmaginare gli spazi. Non solo ai giornalisti e i commentatori che devono testimoniare le cose che succedono ed esprimere idee al riguardo, ma anche e soprattutto alle persone che le sperimentano quotidianamente.
Negli Usa, secondo quanto riportato da Riaa, l’associazione dei discografici americani, le vendite di album in vinile hanno superato quelle dei CD per la prima volta dal 1987.
In particolare, sono stati venduti 41 milioni di ellepì contro 33 milioni di CD. Una frazione di quel che si vendeva negli anni Ottanta, quando CD e vinile si confrontarono in una lotta durissima tra “nuovo” e “vecchio”, tra “digitale di qualità” e “analogico scoppiettante”, ma pur sempre una cifra significativa. Anche perché i dischi ora costano di più e “pesano” per il 71% del fatturato totale dei formati fisici. Parliamo di 1,7 miliardi di dollari, di cui 1,2 miliardi per il solo vinile.
Ma la cosa più interessante, se possibile, è un’altra. Il commento della Riaa: mentre l’interesse per i download digitali cala, dice l’associazione, le vendite di dischi in vinile continuano a crescere per il sedicesimo anno consecutivo.
Il passaggio di formato
La storia della digitalizzazione ce la siamo detta talmente tante volte che è diventata fuorviante. Vale la pena ripercorrerla un attimo. Perché c’è una differenza tra digitalizzazione e trasformazione digitale. E quella a cui stiamo assistendo adesso è la seconda, non la prima. Ma andiamo con ordine.
Perché dobbiamo ricordare che la digitalizzazione, cioè la trasformazione delle cose analogiche in digitale e la loro smaterializzazione dal punto di vista dei contenuti, è già iniziata per la musica da molto tempo, e proprio con il CD.
Sono stati infatti i supporti creati da Sony e Philips lo standard che, assieme ad altre tecnologie oggi estinte come Videodisc e MiniDisc, hanno preso i segnali analogici continui, li hanno campionati, trasformati in una serie di bit e appoggiati su supporti capaci di conservarli in quello stato per un numero senza fine di riproduzioni.
Tra digitalizzazione e trasformazione digitale
L’arrivo della musica in formato MP3, prima illegale come “rip” dei CD e poi come download a pagamento, in cui si poteva “possedere” il file così come si possedeva la musica su supporto fisico è stato completato rapidamente. Da iTunes, che nasceva con lo slogan “Rip. Mix. Burn.” (rippa il CD di tua proprietà, remixa le canzoni e masterizza un nuovo CD, cioè l’equivalente di un mix-tape) ha cambiato molte cose ma non tutte.
Intanto, la musica su disco o CD si poteva deteriorare e rompere senza che nessuno immaginasse che si potesse anche cambiare o riavere indietro. Però, il CD o il vinile sono da sempre vendibili come usato, mentre gli MP3 con DRM sopra ovviamente no. E la stessa cosa vale per i libri e gli eBook. Ancora di più con lo streaming: non si può rivendere (legalmente) l’accesso a contenuti noleggiati o visti in streaming.
Poi, il mercato è cambiato. È arrivato lo streaming, cioè non più il possesso ma l’accesso puro. Sia della musica che del resto. Ed è cambiato il senso dei supporti fisici e dei prodotti analogici, materiali, su carta o su disco, vinile o CD che sia, visto che parliamo di musica.
L’era dell’accesso
Come Uber e i vari noleggi brevi per le auto e i trasporti, come lo streaming per cinema e TV, così anche la musica in streaming ha creato un mercato fatto di accesso senza fine. E questo ha cambiato le dinamiche di ascolto, dando il via a cataloghi molto più ampi di quello che una persona possa ragionevolmente pensare di comprare. Si può usare la versione base di Spotify (con pubblicità e senza scelta diretta delle singole canzoni) o quella ibrida su YouTube, ad esempio.
Oppure pagare per avere l’esperienza completa, con Spotify come con Music di Apple e varie altre. O sfruttare l’accesso in bundle, come fa Amazon con la parte di MP3 che si accumulano comprando dischi sul portale se si usa Prime e quelli ascoltabili per gli abbonati Prime (poi c’è il livello a pagamento “Unlimited”).
Qual è il motivo del ritorno dei dischi, allora? Il differente tipo di rapporto con la proprietà e il possesso delle “cose”, più che con l’esperienza di ascolto. Un disco bello, cioè percepito come importante dall’acquirente, lo si celebra acquistando il supporto fisico, anche se poi si ascolterà 99 volte su 100 in streaming. E per questo, se l’ascolto è limitato e non serve che sia pratico, il CD non fa gioco. Meglio il disco di vinile che ha una gran copertina e la parte stampata interna, se è una buona edizione. Come suona è un “di più”. Allora, qual è il motivo?
Revival o no?
Il revival del vinile è dovuto a diversi fattori. Molti audiofili sostengono che il formato offre un suono più caldo e autentico rispetto al digitale (anche se alcuni sostengono che si tratta di un fattore ampiamente soggettivo). Anche la nostalgia gioca un ruolo importante per coloro che hanno vissuto l’epoca d’oro del vinile, ma anche le generazioni più giovani stanno trainando le vendite, lodando la tangibilità del formato e le opere d’arte.
Gli artisti appartenenti alla generazione Z e ai millennials rappresentano un numero significativo di vendite di dischi nel 2022. Taylor Swift è stata l’artista più venduta l’anno scorso negli USA, con quasi 1,7 milioni di dischi in vinile. Più di Harry Styles (719mila vendite) e dei Beatles (553mila vendite) messi insieme, secondo il rapporto sulle vendite di fine anno di Luminate.
Sebbene il vinile sia tornato in auge, lo streaming regna ancora sovrano. Il rapporto della Riaa ha rilevato che i servizi di streaming musicale, come Spotify e Apple Music, hanno rappresentato ben l’84% dei ricavi musicali totali nel 2022, con una crescita del 7% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la cifra record di 13,3 miliardi di dollari. Le vendite di download digitali, tuttavia, continuano a diminuire. Quelli si che sono in difficoltà.
Quest’anno il formato è crollato del 20% a soli 495 milioni di dollari, dopo essere già sceso del 12% nel 2021. Nonostante la popolarità della musica digitale, sembra che i consumatori preferiscano la comodità dello streaming alla proprietà effettiva, a meno che non si possa tenere fisicamente la musica in una custodia protettiva di cartone.
In conclusione
Celebriamo la buona musica magari con un buon vinile, ma poi ascoltiamola dove vogliamo con le cuffiette in streaming. Questo sembra essere il mantra delle nuove generazioni ma anche di chi è più boomer. Il vinile ne gode ma non sbagliamoci: a fare i soldi veramente è lo streaming. Speriamo almeno qualcosa arrivi in tasca agli artisti e non solo alle grandi case discografiche.
È in dirittura d’arrivo la musica classica su Apple Music: tutto quel che c’è da sapere lo trovate scritto qui.