Leica, l’azienda tedesca che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della fotografia sia come tecnica che come arte, ha aggiunto una nuova macchina fotografica alla sua collezione. Ed è una macchina molto particolare. Si tratta infatti della riedizione, moderna e migliorata, della classica M6 a telemetro, la migliore macchina a pellicola creata a Wetzlar.
L’originale è nato nel 1984 ed è stato in produzione sino al 2002. Nel corso dei suoi diciotto anni di vita è stata la macchina più usata per fotografare la cronaca e l’arte, così come la M2 (la seconda macchina a telemetro della serie M della casa tedesca) lo è stata nei trent’anni precedenti.
La nuova M6 è identica all’originale, con alcune piccole migliorie: adesso la calotta e il fondello sono di ottone scavato dal pieno anziché in zinco, i vetri e le lenti del telemetro sono state protette e gli interni verniciati di nero per non avere più fenomeni di flaring e luci spurie, la ghiera posteriore per l’indicazione dell’ISO della pellicola caricata (che serve per fare in modo che all’esposimetro faccia leggere valori corretti) è stata rifatta in maniera più solida.
In più il bollino rosso, piccolo logo sempre riconoscibile della fotocamera (che è prodotta solo in colore nero) riporta la scritta “Leitz” (ma non quello posteriore nero dove che copre il contatto per il flash), cioè il nome originale dell’azienda. E vale ricordare che Leica si chiama così perché è l’acronimo di “LEItz CAmera”.
Per il resto, è tutto perfettamente uguale al modello del 1984, il quinto della serie M dal suo esordio nel 1954 con la M2. La “nuova” M6 in Italia costa 5.050 euro (solo corpo) e arriva insieme al lancio del terzo obiettivo della serie vintage di Leica (Summilux pancake f/1.4 da 35mm che in Italia costa 3.850) e sta generando un certo rumore in rete perché molti si chiedono che senso abbia e a che cosa serve commercializzare una macchina fotografica come questa nel 2022.
La risposta c’è, però non si trova nei forum o nei ragionamenti da bar dei social, bensì andando a Wetzlar, dove c’è il quartier generale di Leica Camera, per chiedere le ragioni alla dirigenza dell’azienda e per capire meglio. E così noi di Macity abbiamo fatto. Quello che segue è il primo di tre articoli in cui raccontiamo un po’ di cose su Leica, la nuova M6, gli archivi riservati dell’azienda e altre cose che scoprirete con la lettura di queste pagine.
Le ragioni del passato
Con un sorriso Andrea Pacella, direttore marketing mondiale di Leica, ci fa entrare in una piccola sala riunioni al piano terra di uno dei nuovi edifici del Leica Park, il complesso di fabbrica, uffici, Leica Museum e Galerie, che l’azienda ha costruito negli ultimi dieci anni nei sobborghi del piccolo paese tedesco, nel cuore dell’Assia e vicino alla foresta nera. La stessa cittadina dove Goethe aveva ambientato *I dolori del giovane Werther*, e a pochi chilometri dalla base americana dove Elvis Presley aveva svolto con un certo clamore il servizio militare, ormai ottant’anni fa.
“Perché abbiamo fatto una macchina fotografica a pellicola nel 2022, per di più in un momento in cui non abbiamo bisogno di lanciare nuovi prodotti perché riusciamo a malapena a stare dietro a una domanda elevatissima dei nostri prodotti e in un momento in cui la produzione nelle nostre fabbriche è saturata? Perché, insomma, investire tempo, soldi e risorse per fare una macchina a pellicola oggi?”.
È una domanda retorica a cui Pacella dà subito una risposta: “Perché no? E poi, in realtà, l’abbiamo fatto perché siamo Leica, e possiamo farlo”.
La storia di Leica
L’azienda tedesca che ha inventato il “piccolo formato”, cioè il frame 24 x 36 che oggi occupa la posizione più importante nel mondo dei sensori con il nome di “full frame”, è abituata a piccole e grandi rivoluzioni tecnologiche. Viene percepita, oggi, come un marchio molto costoso, per alcuni anche solo moda e lusso, ma in realtà ha una storia tecnologica lunghissima, unica e incredibile. Che non è solo pionieristica. L’azienda infatti ha continuato a innovare e a produrre con tecnologie che non sono solo all’avanguardia per quanto è possibile fare nel mondo della fotografia digitale e analogica, ma anche uniche.
La voce della fotografia analogica, in particolare, è speciale. Leica è stata la creatrice del piccolo formato grazie al lavoro storico di Oskar Barnack che già prima della prima guerra mondiale, nel 1911, intuì e sperimentò le possibilità della pellicola utilizzata per la nascente industria cinematografica di formato 18 x 24 come possibile supporto per una fotografia inedita e leggera, con una micro-macchina che è la Ur-Leica, entrata poi in produzione negli anni Trenta. Assieme a Barnack un altro genio noto soprattutto agli addetti ai lavori ebbe un ruolo fondamentale nell’invenzione degli obiettivi e degli ingranditori per il piccolo formato, cioè Max Berek che progettò (e calcolò) tutte le prime ottiche usate dall’azienda.
La piccola macchina fotografica e l’analogo lavoro fatto per una pionieristica cinepresa realizzata da Barnack rimasero in un cassetto sin dopo la prima guerra mondiale e soprattutto la rivoluzione russa, che fece scomparire nella sanguinosa rivoluzione sovietica moltissime delle committenze a Mosca e San Pietroburgo per microscopi e binocoli dell’azienda di Wetzlar, che all’epoca si chiamava Leitz come il suo proprietario.
La rivoluzione russa e la depressione dei mercati europei misero l’azienda in crisi ma Ernst Leitz decise, anziché licenziare i suoi operai specializzati che lavoravano da sempre per l’azienda, di provare a rilanciare su nuovi mercati con nuovi prodotti. Rispolverò il progetto della macchina fotografica di Barnack, lo fece sviluppare con una serie di prototipi operati pre-produzione oggi rarissimi (l’ultimo dei quali è stato recentemente comprato all’asta da un ricco collezionista asiatico per 14 milioni di euro), e andò sul mercato. Fu la rivoluzione.
Leica M6
Nel 1954 Leica, che dominava il settore della fotografia piccolo formato di qualità e che aveva definito il lavoro non solo di moltissimi artisti (la fotografia è la forma più sintetica di letteratura) e amatori, ma anche il fotogiornalismo e il reportage, presentò un nuovo modello di macchina fotografica. La Leica M3, con telemetro e traguardo ottico fusi assieme (nella serie delle Leica terza sono in due visori separati o addirittura richiedevano un aggiuntivo ottico esterno) l’azienda non solo raggiunge ma supera la concorrenza del settore. E, dopo la M3, macchina complessa e con telemetro adatto a inquadrare a partire dall’obiettivo normale da 50 mm, passa con la M2, più semplice e meno costosa, a un campo visivo compatibile con obiettivi da 35mm. È un successo enorme.
“È la macchina più influente del dopoguerra – ci dice Pacelli – fino all’arrivo della M6. La M6 di Leica, nata nel 1984, è un ulteriore salto in avanti, definisce per più di un decennio il fotogiornalismo, il reportage, la foto d’arte”.
La M6, soprattutto nella versione con corpo nero, diventa il punto di riferimento per il lavoro fotografico e per gli appassionati. Identica nelle misure e perfettamente compatibile con tutti i modelli precedenti, mantiene una tradizione che ancora oggi permette all’ultima nata in campo digitale, la M11, di utilizzare un obiettivo nato per la M3 o, con un adattatore, per le Leica con innesto a vite LTM di prima della Seconda guerra mondiale.
L’attuale Leica M6, appena presentata Wetzlar, è l’erede di questa tradizione. È una macchina fotografica estremamente complessa da produrre, con 1.500 parti di cui 177 solo nel mirino a telemetro, È una dichiarazione di chi sia e cosa sia capace di fare Leica. È un atto d’amore nei confronti della fotografia e di quelle persone che ancora scattano a pellicola, secondo una ricerca del 2018 citata da Leica, il 43% di chi scatta in analogico non ha mai smesso di farlo da quando il digitale ancora non c’era.
“Anche nel momento peggiore – dice Pacella – cioè nel 2005, quando vendevamo 300 macchine fotografiche all’anno, cioè meno di una al giorno, ed eravamo gli unici a fare macchine a pellicola, non abbiamo mai smesso. Invece, abbiamo rilanciato con la serie M7 e poi MP ed MA. È un settore nel quale abbiamo sempre creduto a prescindere da dove vada il mercato”.
Il momento Zenith di Leica
C’è un momento di cui si sa poco o niente che ha definito la Leica di oggi per quanto riguarda il suo rapporto con la fotografia analogica. Per spiegarlo, possiamo fare riferimento a quello che in un altro settore, anche questo scombussolato dalla rivoluzione introdotta con delle nuove tecnologie, è chiamato “Momento Zenith“. Il comparto è quello dell’orologeria di lusso e l’azienda è Zenith, uno dei marchi svizzeri più autorevoli, capace di innovazioni tecnologiche storiche e mirabilanti soprattutto grazie a movimenti meccanici come ad esempio il movimento El Primero, utilizzato anche da Rolex per i suoi Daytona negli anni Sessanta.
Ebbene, quando tutto il comparto svizzero è entrato in crisi a causa dell’avvento degli orologi al quarzo, Zenith si è trovata sull’orlo del fallimento. Il management del fondo di investimento americano che l’aveva acquistata voleva portare la produzione fuori della Svizzera e intendeva buttare via i preziosissimi macchinari, pezzi unici costruiti apposta e insostituibili, utilizzati dall’azienda per costruire tutte le parti dei suoi orologi. Fu un tecnico che, senza dire niente alla direzione, letteralmente nascose macchine e componenti in uno spazio di risulta della vecchia fabbrica. Quindici anni dopo, quando Zenith risalì la china e il nuovo management decise di tornare a produrre i modelli storici con l’alta tecnologia di un tempo, l’azione di questo anonimo tecnico fu quella che nei fatti salvò l’azienda. I macchinari, indispensabili e insostituibili, c’erano ancora e Zenith potè riprendere la produzione.
“Per Leica – dice Pacella – è successa una cosa parzialmente diversa ma concettualmente simile”.
In pratica, dal 1973 Leica ha uno stabilimento di produzione in Portogallo, oltre a quello i Germania. Quando, nel 2013, l’azienda ha cambiato la sede dell’impianto di produzione portoghese, fu il direttore dello stabilimento a insistere affinché i vecchi macchinari per le parti della M6, non più utilizzati da tempo, non venissero abbandonati e invece trasferiti nella nuova sede. Pochi anni dopo, si sono rivelati un prezioso e insostituibile tesoro.
“Tutte le parti meccaniche della M6 sono fatte da noi. Anche le più piccole. Ad esempio, le tendine dell’otturatore, per dire, sono cucite a mano dalle nostre operaie e rifinite con le forbicine, una per una”, dice Pacella.
Mindfulness
Allora, a cosa serve una nuova macchina a pellicola nel 2022? Una macchina che è già un successo perché l’azienda, che produce circa 60mila apparecchi fotografici all’anno (compreso sia quelli analogici come la MA e la MP che digitali come M, SL e Q) e ha un giro di affari che nel 2020 ha superato i 400 milioni di euro, al momento del lancio in Italia ha già venduto tutto il primo lotto di apparecchi disponibili e c’è già una lista di attesa piuttosto lunga per poterne acquistare uno nuovo.
“La fotografia – dice Pacella – ci dimentichiamo che è un oggetto bidimensionale”. L’immagine è una cosa, ma la fotografia è un’altra: è un oggetto tangibile, che va stampato. Interi reparti di aziende continuano a produrre apparecchi per questo, come fanno Canon e HP. Ma le immagini conversazionali, quelle cioè scattate dai telefonini, galleggiano in un altro spazio, molto più intangibile.
La fotografia, dunque, è un oggetto e Leica con la M6 ridà materialità alla prima fase di questo processo. La pellicola rende la macchina fotografica analogica come la M6 un apparecchio “con sensore intercambiabile”. Un apparecchio che segue un processo completamente differente.
“La vendita delle pellicole continua – dice Pacella – anche se con maggiore difficoltà. In alcuni dei nostri store si troveranno delle pellicole, ma non è un problema perché sul mercato se ne trovano con facilità di varie marche. Invece, è più complesso il problema dei laboratori per lo sviluppo e la stampa, questi sì sempre più rari”.
La cosa che rende unica l’esperienza di scatto analogico, e quindi questa volta con la nuova M6 (Leica è l’unica azienda a produrre e commercializzare oggi macchine analogiche di piccolo formato) è la mindfulness che porta con sé, cioè la consapevolezza dell’atto fotografico. È l’espressione più alta della fotografia ma non quella tecnicamente superiore. I sensori digitali fanno certamente di più e meglio. Però il processo della Leica M6 e delle altre macchine analogiche è più lento, fa riflettere di più prima, e con la messa a fuoco manuale Leica aggiunge un fattore di complessità che distilla il lavoro del fotografo al di là dello scatto basato sugli automatismi.
“L’automatismo sei tu”, dice Pacella. E con tre parole libera dalla cattività indotta dagli algoritmi che scelgono esposizione, messa a fuoco, sapore e gusto delle immagini scattate, lasciando all’autore solo il compito di trasportare la fotocamera, puntarla da qualche parte e premere il pulsante di scatto.
Il processo non è fare la foto, metterla sul computer e guardarla, ma lavoraci sopra lungo tutta la filiera produttiva della fotografia. Da quando si decide quale pellicola usare (il sensore intercambiabile) a quando si pensa e si costruisce l’esposizione visualizzandola nella mente e poi aspettando per verificarne i risultati dopo lo sviluppo (il software per la conversione del raw nel mondo analogico), che deve essere peraltro scelto, anche se non ci sono più così tanti tipi diversi di sviluppo che erano disponibili un tempo. Sino ad arrivare alla stampa in camera oscura. “Il piacere è personale, certo, ma dà anche un’estetica alle immagini”, conclude Pacella.
Il viaggio e la destinazione
È logico a questo punto capire che non solo la M6 è diversa, come offerta verso il mercato, rispetto a quello che siamo abituati a trovare oggi, ma anche l’azienda Leica e il modo con il quale si muove. Infatti è logico che dietro ci sia anche un’azienda che non si limita a costruire nuove macchine tra i boschi dell’Assia e nel sud del Portogallo, vicino a Porto. Invece, ha anche i Leica Store, le Leica Galery, la Akademie e una serie di altre attività (come i workshop con importanti fotografi) che danno profondità e senso all’esperienza fotografica, analogica e digitale che sia.
Leica ovviamente vive di fotografia digitale, e ha apparecchi differenti per segmenti di mercato differenti, anche se la serie M digitale oltre che analogica vale da sola un terzo del fatturato. Ma la pellicola serve, rispetta molti utenti e dà valore alla sua posizione come produttrice di apparecchi per catturare immagini e trasformale in fotografie.
La pellicola, oggi, è una passione ritrovata per molti giovani. Non si scatta ovviamente più a pellicola come era negli anni Novanta, quando si è avuto il picco di produzione e consumo nel triennio 1995-1998. Un momento, tra l’altro, molto vicino all’inizio dell’era digitale, perché è solo allora che la diffusione di piccoli apparecchi economici e con automatismi nell’esposizione per rendere la fotografia alla portata di tutti è stata massima.
Tuttavia, ancora oggi si scatta molto. Molti (dicevamo sopra) non hanno mai smesso, altri tornano, altri ancora sperimentano per la prima volta. Nel complesso, il lavoro di Leica è quello di lavorare alla produzione di apparecchi fatti seguendo un investimento secolare nella ricerca e sviluppo del talento delle persone e nei macchinari, soluzioni e prodotti pensati nel tempo con pazienza e prodotti con un controllo della qualità tutto tedesco e con l’obiettivo di portare la semplicità e l’essenzialità nell’atto di scattare una fotografia. Con tutto quel che ci sta intorno.
Alla fine, ritrovare dopo tanti anni la M6 è stata una sorpresa e una emozione intensa. L’abbiamo usata e provata, scattando anche alcune foto impossibili, che nessuno sarebbe in grado di replicare. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.
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