L’archiviazione nel cloud è immensamente comoda, ma ora quella di Google sembra sia anche limitata e controllata: lo si evince dalla spiegazione che l’azienda dà in un post sul blog degli aggiornamenti di Google Drive in merito alle restrizioni introdotte per alcuni tipi di file. In sostanza se un file viola le politiche del servizio, Google ne impedisce la condivisione. Quindi per il momento i file in questione possono ancora esistere “sulla nuvola” e restano accessibili al suo proprietario, ma non c’è la possibilità di creare il link per inviarlo a un amico o renderlo direttamente pubblico.
Questo perché – scrivono – è necessario prevenire l’abuso del servizio, che viene sempre più spesso scelto come spazio per ospitare contenuti illegali nonché malware, materiale sessualmente esplicito e via dicendo. Una buona cosa, certo, ma in un mondo sempre più digitale la privacy è diventata un argomento di costante presenza e questa novità accende più di un campanello d’allarme al riguardo.
Google infatti spiega che ogni volta che un file identificato dal sistema viola i termini del servizio o le politiche del programma, viene limitato: l’utente se ne accorge perché compare un segnalino vicino al nome del file e la stessa cosa accade se si tratta di un file condiviso in precedenza e che si trova già nella cartella degli altri account di Google Drive: ciascun utente che lo possiede vedrà comparire il segnalino e non potrà ricondividerlo a sua volta.
In aggiunta il proprietario del file riceverà un’email in cui viene informato del fatto che per tali ragioni quel determinato file è stato limitatosu Google Drive e gli si chiede se intende richiedere una revisione nel caso in cui ritenga che si tratti di un errore. Uno dei punti nodali della questione riguarda innanzitutto proprio questo: se è un errore, quanto tempo richiede la revisione prima che il file venga sbloccato? Specialmente se si tratta di un documento di lavoro, questa tempistica potrebbe influire negativamente sull’operato di molti se non dell’azienda stessa.Ma soprattutto, se c’è un sistema che controlla i file, vuol dire che qualcuno o “qualcosa” (come un algoritmo di intelligenza artificiale) può leggerne il contenuto, altrimenti su che base si decide se quel determinato file violi o meno il regolamento? Di conseguenza, sebbene è noto che quando un file è presente in un computer connesso alla rete è potenzialmente alla mercé di un attacco esterno, allo stesso modo lo stesso è a rischio hacker anche se finisce in un server di un servizio cloud. Eppure a fronte di un sistema di controllo dei file, la domanda sorge spontanea: e la privacy?
Negli scorsi giorni gli esperti di sicurezza di Google Project Zero hanno illustrato il sofisticato funzionamento dell’attacco iMessage usato per accedere agli iPhone di giornalisti e attivisti nel mondo. Google ha anche presentato Android 12 Go Edition per dispositivi economici.