Serve una premessa, per evitare che ci siano fraintendimenti rispetto a quanto seguirà poi nei paragrafi successivi. Chi scrive segue da più di vent’anni Apple e ha avuto modo non solo di descriverne le minuzie più insignificanti, ma anche di viaggiare insieme agli altri colleghi “storici” di Macity per avvicinarsi e per alcuni momenti anche incontrare i big di Apple, Jonathan “Jony” Ive incluso. Dopotutto è un quarto di secolo che Macitynet racconta in un modo o nell’altro le vicende di Apple e della trasformazione digitale in corso.
Tuttavia, e questa è la premessa, ovviamente chi scrive non lavora né ha lavorato per Apple e certamente non è stato seduto agli stessi tavoli dove Steve Jobs, Jony Ive e gli altri decidevano e creavano i prodotti che tutti abbiamo conosciuto e amato, che conosciamo e amiamo. Questa premessa per dire che, come tutti i ragionamenti che toccano dei processi interi, in realtà anche guardando bene da fuori diventa difficile capire se è successa la cosa A oppure la B: semplicemente, non lo sappiamo. Basta, fine della premessa.
L’importanza di essere Jony Ive
Quando pensiamo a Jony Ive pensiamo al fratello spirituale di Steve Jobs. Il designer britannico era andato a lavorare per Apple negli anni Novanta, quando Steve Jobs non c’era, e stava per andarsene quando Jobs è tornato, ma poi tra i due è scoccata una scintilla basata su un gusto e una concezione simile se non praticamente identica di quello che è il design, su alcune scelte estetiche, sul senso del minimalismo, sul buon gusto. Sono tutte cose che possono sembrare insignificanti, dopotutto chi se ne frega se John Elkann e il designer della Chrysler (chissà poi chi è) hanno gusti simili in fatto di arredamenti d’interni o simili. Ebbene no, per la Apple di Steve Jobs questo è stato fondamentale.
Il duo dinamico, capace di intendersi e di pensare le cose assieme (Ive il progetto di com’è fatto e come funziona un computer, Steve Jobs le scelte di fondo e la verifica costante che il progetto software e hardware rimanesse onesto sino alla fine, nel suo ruolo di cliente numero uno dell’azienda) ha fatto un sacco di lavoro assieme e possiamo dire che se anche Ive era il “regista” che metteva in scena la rappresentazione del computer, Jobs era il produttore esecutivo capace di entrare e uscire dal processo creativo senza fare danni e anzi aumentando la resa.
In questo senso il ruolo di Ive è stato enorme. Se Steve Jobs è stato un catalizzatore delle funzioni e delle strategie di Apple, Ive è stato un facilitatore del pensiero di Jobs. Ha incarnato la figura, nella Apple a partire dalla fine del 1997, di chi dà gambe alla visione del leader, mettendoci del proprio ma all’interno di una visione integrata e integrale. Ive è stato l’uomo sognato da qualsiasi leader visionario, da qualsiasi apprendista stregone che voglia far volare la sua startup.
Senza questo rapporto quasi simbiotico tra i due, senza questo compagno spirituale con affinità elettive così spiccicate, non ci sarebbe stata l’esplosione di Apple. È certamente vero per molte altre funzioni di Apple (dal marketing alla pubblicità che però era esterna, alla ricerca ingegneristica, alla costruzione del software e alla progettazione dell’hardware fino alle operazioni tecniche gestite da Tim Cook) ma per il design di Ive è fondamentale. Non è semplicemente immaginabile una Apple di successo così fortemente costruita attorno a una dimensione “emozionale” senza un partner spirituale e funzionale per la visione di Steve Jobs come Jony Ive.
Psicopatologia della vita quotidiana di Ive
Se è vero che tutto quel che è bello a un certo punto deve arrivare alla fine, lo è ancora di più nel caso di Apple in cui l’unica possibilità di sopravvivere alla morte del suo carismatico leader era ascoltare e obbedire alla sua volontà più profonda e chiara: la vita è cambiamento che va abbracciato, a qualsiasi costo, sino a quando non scompariamo anche noi negli ingranaggi della grande trasformazione cosmica.
Il ruolo di Ive è diventato un ruolo sempre più complesso e difficile da gestire. Come un vedovo inconsolabile, come un’anima ancora relativamente giovane ma rimasta tragicamente sola, con il bello tutto alle sue spalle, Ive ha cominciato a vivere una spirale sempre più complessa, una traiettoria irregolare fatta – per quel che possiamo capire guardando per quanto da vicino pur sempre da fuori – di scarti improvvisi. Ne parla anche Bloomberg, come abbiamo scritto qui, partendo dall’occasione di fondo che il design super minimalista di Apple ha fatto un passo indietro con i nuovi MacBook Pro 14 e 16, rimettendo porte e porticine sopra apparecchi che negli anni passati erano diventati sogliole.
Se nel 2016 si è aperta un’era di privazioni e limitazioni autoimposte, dalla fine del 2021 se ne apre una di abbondanza e apertura verso l’esterno, almeno nella simbologia del nuovo hardware di Apple. E Jony Ive? Facile dire che senza di lui è cambiato tutto ed è pure migliorato. Si è distaccato il dirigente, certamente, visto che è andato via e si è messo a cercare nuovi stimoli e nuove frontiere. Ma quello che veramente non sappiamo è quando ha smesso di essere lui la mente e la mano dietro alla creazione dei nuovi prodotti di Apple e quando invece ha cominciato a delegare sempre di più alla sua officina. Perché l’uomo ha delegato, oh boy se ha delegato.
Uno sparo nel buio
Non sappiamo niente, quindi proviamo a capire senza vedere. Siamo all’epoca in cui Jobs sta molto male e poi muore. L’uomo ha sempre meno energia e tempo. Ma anche Ive sembra estraniato dal suo lavoro. Si è concentrato sulla realizzazione di un “monumento” che poi è Apple Park, una sorta di gigantesco omaggio al pensiero di Steve Jobs che l’azienda ha fortemente voluto e fortemente perseguito. Un lavoro enorme, sul quale Cook ha insistito e che ha assorbito tutta l’energia di Ive, almeno così dicono ma c’è da crederlo.
Infatti l’ultima uscita pubblica di Steve Jobs avviene proprio per portare avanti l’idea del nuovo campus: è un incontro davanti a una commissione del consiglio comunale di Cupertino che l’imprenditore fa con la sua consueta grinta non da venditore ma da grande persuasore, cercando ancora una volta, per l’ultima volta, di ipnotizzare e piegare alla sua volontà, al suo leggendario “campo di distorsione della realtà”, una pattuglia di mediocri amministratori locali che un po’ in realtà si crogiolano della luce riflessa di avere davanti e quasi a disposizione l’unica persona veramente importante che mai gli capiterà di incontrare in vita loro.
Ive ha un suo centro di ricerca e design, enorme, segretissimo, nel quale lavorano un sacco di persone. Ive infatti ha uno stuolo di assistenti, non ce lo dimentichiamo. E questi assistenti non sono stagisti o gente di mezza tacca: sono alcuni tra i più grossi, giovani ma maturi ed esperti designer della Silicon Valley e di tutto il mondo; lavorano attorno a Ive ma molto spesso sono loro che creano e lavorano. Sono soli, sono messi a gruppetto, sono lanciati gli uni contro gli altri: circolano pochissimi racconti di quello che è successo alla corte di Ive e, per come chi scrive ha imparato a conoscere l’uomo negli ultimi venti e passa anni, non è per mancanza di argomento ma forse per tonnellate di accordi di riservatezza e un certo furore mercuriale dell’uomo (Ive) che non ha le dolcezze e le morbide qualità seduttive di Steve Jobs.
Ive sarà al centro di uno scontro di potere enorme nella Apple post-Jobs, in cui si confrontano e si scontrano visioni diverse sul futuro. Prevarrà nei fatti l’arbitro dei giochi, il pragmatico e durissimo Tim Cook, ma sappiamo anche che in quello scontro perderà il posto il delfino di Steve Jobs, un talento purissimo per la tecnologia che ha il grande difetto di essere all’epoca molto ambizioso e troppo giovane: Scott Forstall. Vincerà il “partito” capitanato da Jony Ive dove in realtà ci sono tutti gli altri dirigenti di più alto livello di Apple. Una battaglia della quale si sa pochissimo (com’è giusto che sia) e che dal nostro punto di vista è leggendaria come una battaglia combattuta in cielo, sull’altro lato delle nuvole, da divinità olimpiche per motivi che noi umani non possiamo capire (cioè: soldi e potere).
Domani è un altro giorno
Ive se ne va, chiude una porta che avrebbe potuto tranquillamente tenere aperta sino alla pensione. E sappiamo che lo poteva fare perché a questo punto, ragionando all’indietro, abbiamo visto che ha costruito una sezione gigantesca per Apple che avrebbe potuto gestire lasciando che il lavoro concreto fosse, come è effettivamente stato fatto e come viene fatto adesso, portato avanti da altri. Solo che Ive si annoiava o meglio, probabilmente non aveva il controllo di alto livello o la capacità per averlo. Nella coppia creativa questo era il talento di Steve Jobs, non il suo.
E così è scivolato fuori dal suo lavoro ben prima di uscirne davvero. Prima di uscire ha accumulato su di sé tutte le deleghe possibili e immaginabili per il design di qualsiasi cosa sistema operativo compreso. Deleghe che in buona parte adesso sono andate al buon Craig Federighi partendo però dal punto di vista del software e dell’hardware, non del design del software e dell’hardware.
È in questo periodo in cui Ive controllava tutto ma in realtà non controllava niente che Apple è diventata più realista del re. Possiamo immaginare un gruppo di ambiziosi designer che, pur di guadagnare spazio alla luce del grande Re Sole (Ive) propongono, rinforzano ed estremizzano idee che sono in realtà quasi delle caricature dell’ethos di Steve Jobs e Jony Ive. Pipistrelli, vampiri spirituali di mezza tacca, che uno dopo l’altro portano a casa prodotti su prodotti sempre meno pratici. Perdendo il senso di confine tra realtà e fantasia. Cosa vuol dire? Mi spiego subito.
La leggenda vuole che una volta, a un fan che gli chiedeva di firmare il suo PowerBook per renderlo “perfetto”, Steve Jobs aveva sradicato la tastiera, rendendo il computer uno strumento usabile solo con il trackpad, dicendo che adesso, con il minor numero possibile di tasti e complicazioni, era “quasi perfetto”, un po’ più vicino alla perfezione. Il fan, vuole la leggenda, anziché dargli il computer in testa o quantomeno chiedere un rimborso, ha conservato il computer per anni e si appresta a venderlo su eBay a prezzi stratosferici a qualche riccone cinese o russo.
Jobs però non intendeva dire che il computer era meglio così e si sarebbe guardato bene dal voler realizzare un MacBook come quello. Un discorso è la visione e la fantasia del design, la performance estemporanea, e un altro è quello di vendere portatili al pubblico.
I prodotti disegnati in quegli anni, subito prima e subito dopo la partenza di Ive, sono stati questo: delle caricature che hanno preso sul serio questi aneddoti e gli atteggiamenti più estremistici dal punto di vista del design, come se fossero la cosa vera. È mancato il contrappeso di Steve Jobs, l’uomo capace di avere una visione fortissima, ma anche di alzarsi, osservarla dal di fuori e capire se puntava in una direzione buona o no.
A che punto è la notte
È chiaro che questa fase caricaturale e priva di guida è arrivata in qualche modo alla sua naturale fine (magari hanno prepensionato il designer estremista) o forse sta semplicemente evolvendo in qualcosa di diverso. Qualsiasi sia il motivo, è altrettanto chiaro che una utopia fortissima, quella che voleva il design di Apple perfetto, si è rivelata solo quello: una utopia. Il design di Apple non è perfetto, non lo è mai stato e mai lo sarà. Quello che può fare è di interpretare il senso di una visione, declinarla accanto allo spirito del tempo e cercare di essere rilevante e significativo tramite l’ingegnosità, l’onestà e l’originalità.
Adesso i computer di Apple, dopo che abbiamo visto cambiare sistemi operativi e processori, stanno cominciando a mutare. È un andamento ciclico, doveva succedere, ma qui siamo contenti che stia accadendo in contemporanea con un probabile cambio della guardia interno di Apple. Il problema non è mai stato Jony Ive, ma la sua incompletezza come geniale metà di una coppia affiatata come quella come Steve Jobs. Adesso serve che venga avanti sangue nuovo, sangue fresco, capace di imporre una nuova visione rispettando il DNA di Apple. Sta succedendo e non possiamo che rallegrarcene.
Se volete saperne di più di Jonathan Ive, Macitynet ha decine di articoli che riassumono il suo lavoro, parlano delle sue interviste e permettono così di farsi un quadro di chi è stato e di chi sarà anche in futuro Jonathan Ive.