Bel 2005 Susan Bennett diede involontariamente la propria voce, o meglio un suo campione, alla prima versione di Siri, quella americana. Siri è la voce di Apple, l’assistente intelligente che ha una lunga storia iniziata prima del 4 ottobre 2011 quando venne ufficialmente lanciata come strumento per il riconoscimento e la sintesi vocale di Apple. E uno strumento che, nonostante oggi molti ritengano sia inferiore a quello di Amazon e di Google, in realtà ha ancora molto da insegnare ai suoi fratelli e sorelle minori.
Siri nasce come spin off di un centro di ricerca di proprietà della Darpa (la versione della Difesa americana che serviva a far ripartire la ricerca americana durante la Guerra fredda) che lavorava nell’ambito del progetto Calo, parola latina (vuol dire “il servitore del soldato”) e che è un acronimo per “Cognitive Assistant that Learns and Organizes” e che tratta il tentativo di fondere più sistemi di intelligenza artificiale in un unico assistente “intelligente” (in realtà funzionante dal punto di vista della “cognizione”).
Siri nacque grazie allo SRI International Artificial Intelligence Center e lo spin off venne creato da Dag Kittlaus, Tom Gruber e Adam Cheyer. La scelta del nome della ditta e dell’assistente venne fatta da Kittlaus che la chiamò come una collega norvegese, perché il nome “Siri” in quella lingua significa bella donna che ti guida alla vittoria (e poi ci lamentiamo delle etimologie dei nomi latini e greci).
La parte di riconoscimento della voce venne acquistata da Nuance Communications (e solo nel 2011 venne ammesso) e utilizza un sistema di riconoscimento del parlato estremamente sofisticato che utilizza il machine learning, un sistema di reti neurali particolari e una forma di memoria a breve termine per poter seguire la conversazione in maniera appropriata. Siri venne implementata come prototipo sulla piattaforma Active e poi portata nel 2010 dentro Apple grazie a Steve Jobs.
L’intuizione di Steve Jobs fu riprendere il lavoro fatto dagli scienziati all’interno dell’azienda quando lui era stato estromesso (dal 1985 al 1997) per creare un Knowledge Navigator, un navigatore della conoscenza che utilizzasse l’interfaccia più naturale di tutti, cioè il parlato.
Siri è diventata così il più sofisticato sistema di riconoscimento ed espressione vocale, il primo vero assistente digitale su larga scala, e apparentemente il “meno dotato” rispetto alla concorrenza, ma solo perché il più genuino: mentre Google e Amazon hanno usato la forza bruta del proprio cloud e soprattutto le enormi masse di big data accumulate alle spalle degli utenti, e solo adesso si stanno avvicinando a una versione genuinamente intelligente dei propri assistenti, Siri da subito ha preso la strada più lunga e difficile: sviluppare reti neurali sempre più potenti ma con pochi dati per non violare la privacy delle persone.
È la potenza e la sofisticatezza di calcolo che oggi rende Siri quel che è, non la mole oscena di informazioni raccolta su tutti noi. Eppure, per i “puristi della domenica” (che a tempo perso, quando non sono allenatori della nazionale o presidenti del consiglio, fanno anche gli esperti di cibernetica e di intelligenza artificiale dispensando pareri come il miglior Cacasenno, inteso come l’amico saccente e saputello di Bertoldo e di Bertoldino del diciassettesimo secolo) Siri è la ruota di scorta anziché il miracolo tecnologico verso il quale si sta dirigendo a forte velocità tutta la concorrenza. Ma vabbé.
Il futuro di Siri è quello di diventare uno degli strumenti più diffusi e popolari, assieme ai concorrenti ovviamente: diventare l’interfaccia che fa tutto il lavoro per farsi capire da noi e per capirci, anziché costringerci a imparare un linguaggio figurato intermedio (dalla parola scritta ai linguaggi di programmazione) in attesa della prossima evoluzione.
Se infatti dobbiamo immaginare come diventerà Siri tra dieci anni, le parole d’ordine sono probabilmente avatar e metaverso, più che qualche fantascientifica acquisizione di reale identità. Quello che succederà è che Siri diventerà onnipresente (presente in tutti i contesti, fisici o virtuali) e anche più personalizzata sia in termini della capacità di adattarsi alle nostre preferenze che di essere più “su misura per noi”. Tante Siri diverse, che vivranno in contesti differenti, ciascuna distinta dall’altra e fatta a nostra immagine e somiglianza o comunque secondo i nostri gusti.
È questa probabilmente la spinta che preverrà su quella del mantenimento di una identità neutra fortemente riconducibile al marchio Apple (o degli altri produttori di navigatori della conoscenza). E piuttosto autorealizzerà la profezia dell’arrivo degli angeli, nel senso che sarà una presenza immateriale al fianco di chi la sceglierà per avere informazioni, aiuto, assistenza, accesso ai servizi.
Oggi Siri non è distribuita in maniera uniforme in tutto il creato: la profondità ed efficienza di funzionamento varia da lingua a lingua, a seconda dello sforzo di localizzazione fatto da Apple. Recentemente Apple ha reso Siri un po’ più italiana e chi utilizza Apple TV oppure ha comprato (in Europa, perché da noi ancora non sono distribuiti) gli HomePod Mini adesso può avere conversazioni interessanti con l’assistente digitale di Apple nella lingua di Dante. Non male.
Sembra non dovremo aspettare molto per usare meglio Siri anche in casa: Apple ha anticipato che entro la fine dell’anno HomePod mini sarà commercializzato anche in Italia.