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Un sogno chiamato Hyperloop: il teletrasporto per tutti

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Si chiama teletrasporto ed è un’idea perfetta per la fantascienza. La gente si posiziona nel raggio dell’apparecchio, il tecnico aziona il sistema, l’energia si attiva e pochi secondi dopo come per magia ecco che si è teletrasportati da un’altra parte. Magari senza più l’anima, che tra l’altro si dice sia incapace anche di volare, per questo i viaggiatori d’alta quota soffrono il jet-lag, è la sofferenza che progressivamente cala man mano che lo spirito etereo si ricongiunge con il corpo materiale dopo aver traversato sulla superficie del pianeta enormi distanze.

Se il teletrasporto è l’idea di scrittori di fantascienza e registi dello stesso genere (avete presente a metà degli anni Sessanta Star Trek? “Signor McCoy, energia!”, ordinava il capitano Kirk nel suo comunicatore flip così simile ai primi telefonini di Motorola) l’hyperloop è un sogno costruito all’incrocio tra la fantasia con il mondo reale.

La gente arriva in un tempio di cristallo, fatto di giganteschi passaggi, tubi vuoti, lunghe capsule scintillanti d’argento. Si avvicina alla banchina e sale all’interno di un ambiente ampio, luminoso,dove può sedersi su grandi poltrone imbottite. Il cilindro anziché avanzare sale fino al terzo, quarto livello della struttura, viene allineato a un lungo tubo, pressurizzato e poi parte con una accelerazione progressiva e potente. Siamo a Milano e quindici minuti dopo inizia il rallentamento. Altri cinque minuti e siamo a Roma. Ma in sei ore saremmo potuti arrivare a Pechino.

Hyperloop è un’idea strana. Un treno a levitazione magnetica ad alta veocità, capace di viaggiare a 1200 chilometri all’ora. Letteralmente, non una tecnologia per questa Terra (vedremo tra poco perché). Si tratta di una ideazione open source: possono partecipare tanti: parte da Elon Musk e dal suo progetto SpaceX, ed è qualcosa di sostanzialmente differente da quanto immaginato finora per viaggiare ad altissima velocità. Nel senso che è un vero e proprio progetto integrato immaginato per adattarsi alla tecnlogie esistenti (permetterebbe di riutilizzare le infrastrutture ferroviarie esistenti) utilizzando anche tecnologie che conosciamo bene (pannelli solari) per arrivare a creare un sistema completamente autonomo e “verde”, capace non solo di autoalimentarsi ma anche di restituire alla rete di distribuzione il quantitativo di corrente generato ma non utilizzato.

Un primo prototipo di otto chilometri è realizzato quest’anno ma il progetto è pensato per arrivare a fare da trasporto con velocità che vanno da 560 chilometri ora a 970 e fino alla punta massima di 1.200. Come dire: ipotizzando una distanza sul terreno (con curve e gallerie) di 580 chilometri tra Roma e Milano, l’Hyperloop potrebbe percorrerla da un’ora circa a meno di venti minuti. Un’ora o pochi minuti in più per andare da Milano a Reggio Calabria.

L’Hyperloop è essenzialmente un cilindro (pod, una capsula) che contiene sia i passeggeri e la merce che le batterie e i compressori dell’aria e i magneti. In pratica, funziona con un concetto molto diverso da quello dei MagLev, treni a levitazione magnetica già esistenti (tra Shanghai e uno dei suoi aeroporti). Nel caso dei MagLev c’è un sistema di levitazione magnetica che tiene sollevato e fa al tempo stesso viaggiare il treno. Nel caso dell’Hyperloop invece c’è un compressore con pale per l’aria compressa che agisce da propulsore mentre la parte magnetica serve solo per il sollevamento che azzera l’attrito del binario e per l’accelerazione e decelerazione inziali e finali. In pratica, senza frizione, la spinta causata dai motori a induzione lineare viene perpetuata e il rollio eliminato dal turbofan che stabilizza oltre a portare dietro l’aria presa davanti, il grande problema dei sistemi pneumatici in tubi che non sono perfettamente sottovuoto (uno dei principali problemi anche per sistemi a velocità relativamente bassa: basta vedere quel che devono fare gli ingegneri per riuscire a gestire i tunnel della metropolitana e gli “sfiati” in stazione e lungo strada).

Ma non c’è solo questo. Musk e i suoi non sono abituati a lavorare solo su una cosa e lasciare al caso il resto. C’è il concetto di sostenibilità, di riuso delle infrastrutture esistenti (e nonostante questo il costo dell’Hyperloop negli Usa sarebbe stratosferico, anche se visti i costi al chilometro della nostra TAV verrebbe da dire che da noi sarebbe fattibile anche oggi). Si studiano le capsule, ma si studiano anche stazioni avveniristiche con sezioni movibili, ascensori per spostare i pod e portarli a livello dei viaggiatori, sostituire al grigio e al nero dell’era del carbone e del vapore (da cui derivano le stazioni attuali) all’acciaio e soprattutto al vetro che renderebbe tutto leggero, trasparente e luminoso.

Inoltre, questo tipo di struttura di trasporto ha rendimenti costanti e crescenti a prescindere dall’ambiente in cui si muove. Per questo ha senso: per Musk arriverà a maturità nello stesso momento in cui cominceremo a colonizzare Marte e altri pianeti del nostro sistema solare e oltre. Perché il destino dell’umanità, nel piano di Musk, è di uscire dal pianeta che lui vede a rischio e probabilmente condannato. Invece, mettendo uova anche in altri cesti, non solo potremmo ridurre la pressione sull’ambiente e le risorse di questo pianeta, ma prosperare anche su altri. Un futuro che ci consentirebbe di sfruttare Hyperloop come tecnologia matura (non servono neanche i tubi a bassa pressione dato che l’atmosfera di Marte ha una densità pari all’1% di quella terrestre).

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La possibilità di avere un design open source e l’idea di creare modelli di finanziamento che integrano la ricerca in modo progressivo (un po’ come Musk ha già fatto con Tesla Motors, che ha visto i primi progetti più costosi per finanziare la ricerca capace di produrre auto progressivamente più economiche). In questo momento c’è competizione per la progettazione del pod, che è l’elemento centrale della progettazione. Si immaginano modelli diversi, facilmente costruibili e soprattutto si ragiona sulle dimensioni per fare in modo che i tubi possano avere lunga vita: sarebbe un grosso errore infatti costruire una nuova infrastruttura per poi scoprire di essere da questa fortemente limitati.

Si farà? Musk spinge duro e sembra che ci siano in effetti gli estremi perché il progetto vada avanti. I prototipi sono soprattutto costosi ma non certamente pericolosi come ad esempio i razzi dell’altra azienda del dinamico creatore di PayPal, SpaceX. Non c’è rischio di fallimento spettacolare che possa deprimere gli investimenti. Invece, ci sono resistenze da parte del pubblico sui costi, sull’impatto ambientale ma anche e soprattutto sull’impatto biologico. Viaggiare però a quella velocità non è pericoloso di per sé, non più di quanto sia viaggiare in aereo. L’accelerazione si sente progressivamente sino a quando non si raggiunge la velocità di crociera, e a quel punto il movimento non viene percepito se non in modo molto relativo, e poi di nuovo durante la decelerazione (ma per queste considerazioni dovrebbero bastare le nozioni di fisica che si imparano alle scuole medie).

C’è chi sostiene che in realtà le stime fatte di circa 6 miliardi di dollari da parte di Hyperloop siano fortemente ottimistiche e che in realtà fare semplicemente l’asse San Francisco-Los Angeles (fortemente voluto anche per ragioni economiche oltre che di comunicazione pubblica) costerebbe molto molto di più. Il sogno di un sistema di comunicazione di questo tipo ha un grande senso comunque per il trasporto transcontinentale più che intercontinentale. Cioè attraverso gli Usa e l’America del Nord, ma anche attraverso l’Europa e parte dell’Asia, e poi attraverso la Cina. Richiede a presenza di cielo a vista (e quindi poche gallerie) perché si alimenta con la corrente elettrica generata da pannelli solari. Nel nostro Paese, che da un lato è molto esposto al sole, avrebbe anche problemi causa la nostra orografia, che prevede tante gallerie. Ma si potrebbe fare, in qualche modo. Non per noi, forse per i nostri figli. Però il cambiamento sarebbe epocale, come già lo è stato quello dei treni ad alta velocità e ancora prima quello degli aeroplani intercontinentali. Questi ultimi rimarrebbero ma con un ruolo profondamente ridefinito (e più marginale).

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