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Storia segreta di Keynote, il segreto dei keynote di Steve Jobs e di Apple

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C’era una volta keynote. Chi scrive segue Apple da più anni di quanto non vorrebbe ammettere e ha visto cambiare tante cose. Dallo stupore (relativamente) di pochi appassionati per i keynote di Steve Jobs al successo planetario della multinazionale di Cupertino. Un successo che è nato dalla sinergia tra i prodotti della Mela e la capacità comunicativa del suo co-fondatore, tornato a guidarla nell’era più nera (1997) e come tutti sanno scomparso a fine 2011.

Il genio istrionico quasi da attore di teatro esistenzialista francese di Steve Jobs, capace di domare le folle dal palco con un girocollo nero, un paio di jeans e un paio di New Balance 900, è leggendario. Inutile ripetercelo. A contribuire non poco a questa leggenda, oltre al “modo” delle presentazioni, è stato anche il come. La presentazione stessa. Che Steve Jobs preparava, provava e riprovava, aggiungendo e togliendo sino a che non arrivava ad essere (spesso anche se non sempre) quel momento di sintesi acuta e penetrante, capace di mostrare, convincere, diffondere.

Keynote One more thing Steve Jobs
Le presentazioni, come forse alcuni ricordano, c’erano da prima che ci fosse il software Apple per farle, cioè quel Keynote che oggi è utilizzabile da chiunque su Mac, su iPhone, su iPad e via iCloud. Ma le presentazioni di Steve Jobs c’erano in realtà “da dopo” che c’è stato il software. Perché la storia di Keynote è abbastanza lunga e interessante da raccontare. Soprattutto da parte di un cronista che fece il suo primo incontro con il software come regalo all’uscita di un evento tenutosi al Moscone Center Nord nel 2003: una scatolina bianca che prometteva di contenere tutta la magia e la polverina magica di Steve Jobs.

Era stato infatti lo stesso Jobs a svelare sul palco, pochi minuti prima, che le sue presentazioni venivano fatte con un software altro da PowerPoint, sino a quel momento per le masse l’unico capace di proiettare i lucidi digitali sul grande schermo. Ecco la promessa di un software Apple capace di fare magie, per la proprietà transitiva del “reality distortion field” perlomeno.

Il software, che poi è cresciuto, si è arricchito di molte funzioni, le ha perse quasi tutte all’improvviso per consentire l’allineamento delle versioni Mac e iOS a quella iCloud e adesso le ha sostanzialmente recuperate tutte, ha mantenuto in parte quelle promesse. Anzi di più. È diventato un software che permette di fare molto, molto bene e molto rapidamente. Chi scrive da anni insegna in alcune università come docente a contratto e in altri contesti formativi e venerà la flessibilità e potenza, semplicità ed eleganza, completezza e ricchezza di Keynote in tutte le sue incarnazioni.

apple keynote app mac
Inoltre, Keynote si è dimostrato essere il primo passo per la creazione di un trittico di app per la produttività che, se anche non sono riuscite a scalzare Office di Microsoft, almeno hanno dimostrato che è possibile cercare di seguire altre strade anziché cercare solo di offrire una alternativa-clone gratuita al prodotto di Microsoft (Sì, OpenOffice e LibreOffice, sto parlando proprio di voi!).

Ma da dove viene questo software e i suoi fratelli Pages e Numbers? Bisogna fare un salto nel passato e scoprire un paio di passaggi della vita della Silicon Valley che non sono necessariamente conosciuti a molti. La storia di Lighthouse Desing ai tempi di NeXTStep.

keynote apple steve jobs keynote

Nel 1989, quasi trent’anni fa, quando Steve Jobs era ormai fuori da Apple, aveva creato NeXT, l’azienda che nelle intenzioni del papà della casa della Mela avrebbe dovuto essere l’atto secondo nella sua avventura nel mondo del computer, privo di difetti. Così non fu. Però NeXT riuscì a raccogliere molte energie positive e molti programmatori che scommisero sul successo di quella piccola e innovativa startup creata dal carismatico Steve Jobs che voleva rivoluzionare il mondo delle workstation per l’università. Fu così che un gruppo di intraprendenti imprenditori-informatici, Alan Chung, Roger Rosner, Jonathan Schwartz, Kevin Steele e Brian Skinner, decisero di aprire la loro Lighthouse Design a Bethesda nel Maryland.

Steve Jobs Next
I cinque erano parecchio bravi e non ci volle molto perché si trasferissero sulla West Coast, a San Mateo in California. I due primi prodotti che avevano realizzato erano stati Diagram! ed Exploder. Si trattava di due idee parecchio innovative: il primo era qualcosa che oggi conosciamo molto bene, cioè uno strumento BLT (sta per Box-and-Line Tool). In pratica, si potevano utilizzare delle linee chiamate “smart link” per connettere dei rettangoli e quadrati (oggetti chiamati “scatole” boxes, appunto) per costruire diagrammi di flusso e altre cose del genere.

Invece Exploder era una cosa più tecnica, uno strumento per programmatori, che consentiva di salvare gli oggetti del linguaggio Objective-C (che era nato da poco ed era stato acquistato da NeXT come base per costruire il suo sistema operativo e ambiente di sviluppo) all’interno di un database relazionale. Il software era così particolare che venne messo all’interno di una nuova società, Persistence Software, quotata poi nel 1999.

Invece Lighthouse continuò a sviluppare software di produttività per NeXT: in particolare una suite sulla falsariga di altri produttori di soluzioni analoghe (c’erano da WordPerfect a Lotus 1–2–3, da VisiCalc e decine di altre soluzioni inclusa la nascente suite Office di Microsoft). In particolare, Lighthouse Design realizzò il foglio di calcolo ParaSheet, una versione diversa basata su Lotus Improv che si chiamava Quantrix, il suddetto Diagram!, un software di gestione dei progetti chiamato TaskMaster, un programma di ritocco delle immagini WetPaint, uno strumento di modellazione dei dati basato su Diagram! e un programma per fare presentazioni chiamato Concurrence.

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In quei tempi la piattaforma di Steve Jobs, NeXT, aveva fatto una alleanza strategica con Sun Microsystems, per la realizzazione di OpenStep, un sistema operativo di alto livello che avrebbe permesso di usare le metafore, gli ambienti e i software di NeXT su workstation Sun, che stava pensando seriamente (siamo ai primi anni Novanta) di entrare nel mercato dei personal computer di fascia alta. In pratica, una ibridazione di NeXTStep con Solaris, il sistema operativo derivato anch’esso da Unix (e all’epoca con codice proprietario) di Sun.

La “visione” di Sun e di NeXT era notevole e se ne è sempre parlato molto poco: l’idea era che i server Sun avrebbero creato la base per un ambiente di calcolo distribuito mentre le workstation del front-end sarebbero state alternativamente della stessa Sun e di NeXT. La tecnologia di comunicazione, cioè i protocolli da usare nelle reti di questo tipo, sarebbero stati basati sulla tecnologia Portable Distributed Objects di NeXT, che poi si sarebbe chiamata in realtà Distributed Objects Everywhere (DOE) e infine commercializzata come NEO. Se tutto questo vi sembra concettualmente simile al cloud computing ma venti anni prima, ecco non vi state sbagliando.

In questo incrocio e ibridazione ai massimi livelli tra Apple e Sun una delle cose “minori” fu l’acquisizione di Lighthouse Design da parte di Sun. La cifra? “Solo” 22 milioni di dollari, ma questo fece entrare dentro l’azienda i fondatori di Lighthouse tra cui Jonathan Schwartz che sarebbe diventato, all’inizio del XXI secolo, l’ultimo CEO dell’azienda californiana, quello che ha gestito materialmente la vendita alla Oracle di Larry Ellison.

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Torniamo al passato remoto. A guidare Sun a metà degli anni Novanta era ancora Scott McNealy (che aveva dato il cambio a Eric Schmidt, poi CEO di Google chiamato dai due fondatori del motore di ricerca di Mountain View per avere una “mano esperta” come guida). L’idea di McNealy era che Sun potesse crescere fino a diventare l’avversario numero uno di Microsoft e sconfiggerla su tutti i settori, incluso quello della produttività. Da qui l’idea di dotarsi di un Office alternativo.

Qui c’è il grande inghippo. Perché, se è vero che l’Office di Sun-Lighthouse non era ancora maturo, con tutta probabilità avrebbe potuto diventarlo, ma sarebbero occorsi tempo e ingenti investimenti. Praticamente la tecnica di Microsoft, che acquista società, investe nello sviluppo e miglioramento e persiste fino a che non vince la guerra e caccia gli avversari. Sun, giovane e soprattutto irrequieta, genialoide e immatura, a metà di questa complessa strategia si innamorò di Java e si convinse che la strategia vera e vincente sarebbe stata “Java everywhere”, cancellando in un attimo i piani di sviluppo per spostare tutto su questo nuovo fronte.

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Quindi niente sviluppo del cloud ante-litteram basato su DOE/NEO, “sonno profondo” per OpenStep e spostamento di tutto quel che faceva Lighthouse dentro la divisione Java Applications Group. Il problema è che il codice delle applicazioni basate su OpenStep scritto in Objective-C era totalmente diverso da quello Java e praticamente impossibile da portare nel nuovo ambiente. Si sarebbe fatto prima a riscriverlo da zero. E gli incentivi a farlo erano molto bassi anche perché il gruppo di sviluppo di Java lavorava per creare un grande rapporto con i programmatori terze parti e l’idea che ci potessero essere applicazioni così sviluppate già dentro Java era visto come un deterrente a queste relazioni.

Risultato, a parte il porting di LightPlan, venne tutto fermato e i vari software “congelati”. Addirittura Diagram! venne sostanzialmente fatto uscire dal perimetro di Sun e divenne la base per OmniGraffle di OmniGroup, che aveva da tempo relazioni con Lighthouse Design, per la quale aveva realizzato il browser OmniWeb che era stato commercializzato su NeXTStep. Da qui nascono alcuni dei software per la produttività in ambiente Mac OS X più caratteristici e fortunati.

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Per vedere come andò a finire: Sun pochi anni dopo (circa il 1999) cambiò nuovamente idea e decise di rientrare nella competizione con Microsoft questa volta però comprando una seconda suite per la produttività, basata su C++, che era StarOffice, da cui originano i vari OpenOffice e LibreOffice di oggi.

Torniamo alla nostra storia. Concurrence, come abbiamo visto, era il software di presentazione creato da Lighthouse e, ma pochi lo sapevano, utilizzato da Steve Jobs. Il quale lo voleva assolutamente sulla sua NextStation, il computer che Jobs ha usato per anni anche dopo il rientro alla guida di Apple. Uno dei requisiti per cominciare a usare il Mac a partire dal 1997 per Jobs era che il suo sistema operativo fosse NeXTStep (e così fu con Mac OS X, che ne era la diretta emanazione), che ci fossero software come Mail e soprattutto come Concurrence. Anche questo accadde. E, nella realizzazione della versione “interna” di Concurrence Apple si rese conto che aveva una opportunità interessante di poter commercializzare un software per le presentazioni con un testimonial di eccellenza come Steve Jobs per sondare il terreno.

Se infatti le cose fossero andate bene, Apple avrebbe realizzato anche gli altri due pezzetti della suite per la produttività: Pages e poi Numbers, videoscrittura e foglio di calcolo. Unica attenzione, non ricreare un database (come Access di Microsoft) per non pestare i piedi al software di Claris, Filemaker (che poi divenne il nome della stessa azienda, oggi sostanzialmente monoprodotto). Una attenzione che Apple non mostrò verso Emailer, il client di posta di Claris, che venne invece inglobato dentro Mail.app.

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Keynote si dimostrò un vero successo. Era il software giusto, molto grafico e molto “poco tecnico” sia come utilizzo che come potenziale pubblico, per mostrare come Apple fosse al massimo della sua estetica funzionale e minimalista, elegante nella semplicità. Nel 2006 addirittura un ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore, utilizzò per tutto il suo film An Inconvenient Truth proprio questo software (montato ovviamente sul suo fiammante Mac) per mostrare a video le sue tesi sul riscaldamento globale. Uno spot incredibile.

A gennaio del 2005 Apple annunciò di aver creato Pages, il software per la videoscrittura che in realtà si affiancava a TextEdit (di serie su tutti i Mac) aggiungendo fondamentalmente le caratteristiche di layout delle pagine più che di videoscrittura. Il software venne giudicato meno riuscito di Word di Microsoft, anche se qui il problema vero era la difficoltà di schiodare le persone dal formato Doc e Docx.

Nel 2007 fu il momento del terzo software, Numbers, che è un foglio di calcolo parzialmente simile a Excel. Di questo riprende ovviamente la struttura (ma manca di alcune caratteristiche “amate” dagli smanettoni di Excel) e introduce altri concetti. Il primo è l’utilizzo di “tele” che contengono le tabelle, anziché far coincidere la tabella con tutta la pagina del documento. E poi altre funzioni che Apple era andata a ripescare dentro Lotus Improv (già ispirazione di ParaSheet di Lighthouse), tra le quali l’utilizzo di formule basate su intervalli di campi anziché su celle. L’implementazione complessiva come detto era però meno “coraggiosa” e basata completamente sulle metafore di interfaccia di Excel.

Ecco, qui finisce la storia di Keynote, un software che ha una vita più lunga di quel che non sembra e una importanza ancora maggiore. Un campione neanche secondario, una delle chiavi del successo della Apple di OS X. Una app che in questi mesi compie dieci anni.

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